C'è confusione

Landini porta la Cgil in piazza per protestare ma non ha ancora capito il motivo

Pietro Senaldi

Maurizio Landini, l’equilibrista in bilico tra il non vorrei ma devo. Che la Cgil sarà in piazza nella manifestazione di sabato prossimo a Roma per l’Europa, si sapeva già. Non era chiaro però il perché, tant’è che il sindacato rosso sulle prime aveva detto che avrebbe partecipato ma non aderito. Soluzione poco convincente, che ricorda cose come il sesso senza amore o la birra senza alcol, formule non degne di un leader pasionario che a settimane alterne incita alla rivolta sociale. Infatti ieri, su Repubblica, quotidiano che ha lanciato l’iniziativa, è intervenuto per sposare più convintamente la causa, filosofando sulle ragioni.

La presidente della Ue ancora ieri ha difeso il suo piano di sicurezza da 800 miliardi, da lei battezzato ReArm, per non lasciare adito a dubbi su cosa si tratti. Ebbene, Landini, nel motivare perché scende in piazza per l’Unione non ha fatto che ripetere a ogni riga che essa è «incapace di reggere il confronto con le altre potenzie mondiali, impreparata e debole», che «il riarmo è un tragico errore che nuoce all’europeismo e al mondo del lavoro» e che la Ue ha imposto «un’austerità foriera di un arretramento non più accettabile». Perché lo fai allora, Maurizio? «Per la pace», scrive il segretario. E per prevenire obiezioni che gli facessero notare che già gli antichi romani avevano capito che «se vuoi la pace, devi prepararti alla guerra», il sindacalista aggiunge, anche per «i diritti, la libertà, il lavoro e lo Stato sociale».

Che ci azzeccano? Nulla. La prossima settimana l’Europarlamento, con il voto del gruppo socialista e con una possibile spaccatura degli onorevoli dem a Bruxelles, voterà una risoluzione per approvare con delega più o meno in bianco il ReArm di Ursula. Se la sinistra fosse un luogo politico normale, sarebbe naturale pensare che scendere in piazza pochi giorni dopo in favore dell’Europa significhi avallare il piano e considerarlo un modo per garantire diritti e libertà al Continente.

Invece no, Landini lo schifa, ma vuol esserci lo stesso, come Elly Schlein, che non può permettersi che tre quarti del suo partito manifestino senza di lei, perché significherebbe certificare la debolezza della propria leadership.

Il capo della Cgil ha problemi analoghi a quelli della leader dem, ma non può confessarli, e per questo si è esercitato sulle colonne di Repubblica in una supercazzola da competizione, citando perfino Enrico Berlinguer, al quale l’ombrello Nato piaceva sì ma, da buon filo sovietico, solo se bucato.

Landini non vorrebbe essere in piazza, anche perché partecipare a una manifestazione indetta da altri, per di più da un intellettuale piddino, gli dà allergia. Però deve, perché il sindacato non può rinnegare l’Europa, che ha contribuito a costruire così com’è, anche se adesso usa le stesse parole di Matteo Salvini per criticarla. Deve esserci anche perché la Cgil al suo interno ha su Ucraina e armi almeno tante posizioni quante ne ha il Pd, e lui non può non cercare di rappresentarle tutte.

Ma, soprattutto, non può mancare perché tra due o tre mesi dovrà mobilitare tutto il mondo progressista per votare il suo referendum per l’abolizione dell’articolo 18, una legge che porta la firma di un governo a guida Pd e che pertanto metà dem non sosterranno.

Landini sostiene da tempo di contare più dei partiti, cerca di intestarsi la linea politica della sinistra, persegue la cosiddetta “via maestra”, un’alleanza politica che va da Sinistra Italiana, ai grillini, a Schlein, all’associazionismo cattolico, un mondo che, M5S a parte, sabato sarà in piazza, sebbene in buona parte con il naso turato. Se vuole portarlo a votare contro il Job’s Act di Matteo Renzi (anche lui atteso in piazza sabato) ed evitarsi la figuraccia di un capopopolo senza popolo, il segretario Cgil deve bere l’amaro calice che gli ha porto Michele Serra.