Fantasiose teorie del "Fatto"
Conte, la faccia tosta dei fan che straparlano di conti pubblici dopo i buchi del Superbonus
Ieri Il Fatto Quotidiano ha messo in pagina qualcosa che non era un pezzo, era un quadro di Duchamp, un fotogramma di Buñuel, un capolavoro nel suo genere, a metà tra il surrealismo e il Dada. Tesi di fondo: i recenti dati economici positivi non stanno in capo al governo in carica (da due anni e mezzo, peraltro), ma sono tutto merito del governo precedente e di quella geniale intuizione macro -economica nota come Superbonus. Il quale non solo non ha generato il buco nero nei conti registrato da qualunque statistica (l’aritmetica è un ferrovecchio per i colleghi, veri avanguardisti del mestiere), ma è all’origine di una dinamica virtuosa di cui il centrodestra coglie immeritatamente i frutti. Lo sappiamo, la tentazione è di allertare un’ambulanza nell’interesse in primis dei suddetti colleghi, ma vi chiediamo di seguire il (lisergico) ragionamento. Pronti, via: «A Palazzo Chigi possono tirare un sospiro di sollievo. Il Pil cresce dello 0,7% nel 2024».
Non solo: «La crescita nominale, cioè comprensiva dell’inflazione, si attesta a +2.9%». Ergo, «la dinamica del debito pubblico è tenuta sotto controllo». Un riconoscimento, direte voi ragionieri banalotti, della politica economica del governo improntata a un pragmatismo moderatamente sviluppista, in una contingenza internazionale tormentata. Macché, qui sta il genio, la sparigliata dadaista, il colpo di tacco funambolico dell’articolista: «L’aumento soltanto marginale del debito nei confronti del Pil nel 2024 evidenzia che l’effetto reale sulle finanze» del mitologico Superbonus, vero e proprio totem contian-travagliesco, «è stato molto più contenuto di quanto temuto». E, poiché se capovolgi la realtà devi andare fino in fondo, devi rinunciare ai freni inibitori e gettare il ridicolo addosso a chi rimane testardamente ancorato ad essa, a corredo del pezzo c’è l’immagine.
Nella fattispecie, i titoli di alcuni giornali, tra cui due di Libero, che riportavano la notizia, piuttosto che la narrazione di Rocco Casalino. «Il Superbonus sballa i conti», diceva questa testata, noiosa, retrò, così avvitata nei numeri e nei dati e così poco artistica. Eppure, visto che i numeri hanno ancora il vizio di raccontare la vita e l’economia reale, riportiamo quelli della Cgia di Mestre, non un fogliaccio reazionario. Oneri complessivi a carico dello Stato dovuti al Superbonus: 123 miliardi di euro (e il conteggio copre fino a settembre 2024). Pensate averli ora a disposizione, 123 miliardi, in un momento in cui si fanno i salti mortali per trovarne 3 da destinare all’emergenza bollette: non è stato (solo) un buco, è stato masochismo contabile, incoscienza politica, disallineamento morale col Paese. Un’enormità, che ancora una volta Il Fatto rovescia in un’enormità di segno opposto, perché quel che conta è abdicare del tutto al canone della verosimiglianza, parlare dichiaratamente da un altro mondo: «La crescita economica, innescata anche da misure come il Superbonus, non si è ancora esaurita».
È un virtuosistico ribaltamento del tavolo, per occultare la responsabilità politica dell’Avvocato del Popolo (spennato): la crescita avrebbe potuto essere assai migliore, senza il maxi-spreco pentastellato. Torniamo alla realtà, sempre la Cgia: questa montagna di denaro pubblico si è tradotta in ristrutturazioni che hanno coinvolto meno di 500mila edifici residenziali, pari al 4% del totale nazionale. Inoltre, l’operazione «sembrerebbe aver favorito maggiormente i proprietari di immobili con una buona/elevata capacità di reddito». In sostanza: “Superbonus” ha significato soprattutto rifacimento di seconde e terze case a spese dei contribuenti tutti. Un esproprio proletario al contrario, una confisca benestante. Conclusione che svela l’autentico modello politico di Travaglio & Co.: lo sceriffo di Nottingham. Il quale, peraltro, aveva anche il considerevole pregio delle manette facili.