Disperati
Il Pd deraglia su Giorgia Meloni: "Riferisca su Donald Trump"
Zelensky e Trump litigano nello Studio Ovale e la sinistra cosa fa? Suvvia, che domande... Chiama a rapporto il Presidente del Consiglio, lo strattona per la giacchetta, invoca il suo nome. Quasi che la colpa della mancata firma dell’accordo sia colpa sua. Il «Meloni riferisca in aula», del resto, è lo sport preferito dei progressisti.
Gli spari a palle incatenate contro il premier erano partiti già nella serata di venerdì, subito dopo la rissa in diretta tv alla Casa Bianca, ma è ieri mattina che va in scena il salto di non qualità. Non si saziano i compagni con la nota, chiara e netta, di Giorgia Meloni («Un Occidente diviso ci rende tutti più deboli: serve un vertice con Usa, Ue e alleati»). Il primo a scattare è Matteo Renzi, leader di Italia Viva: «Stavolta Giorgia deve metterci la faccia. Ci dica quale posizione vuole esprimere nei vertici internazionali. Serve un dibattito parlamentare, subito. Meloni venga in Aula in questa settimana». Seguirà una lettera ai presidenti dei due rami del Parlamento (Ignazio La Russa e Lorenzo Fontana) firmata dai suoi capigruppo, Davide Faraone (Camera) ed Enrico Borghi (Senato) per chiedere l’intervento del premier. Poi sale in cattedra il verde Angelo Bonelli: «Giorgia Meloni venga in Aula a dire da che parte sta: con Putin e Trump o con l’Europa». Ed ecco il Pd: «Siamo in una situazione internazionale senza precedenti e il comunicato della premier Meloni, giunto ben ultimo dopo altri leader europei, non fa chiarezza sulla posizione dell’Italia.
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Venga in Parlamento già prima del vertice europeo straordinario del 6 marzo», dicono Chiara Braga e Francesco Boccia, rispettivamente capogruppo alla Camera e al Senato. Pure i filo-putiniani dei 5 Stelle si buttano nella mischia, coi capigruppo Riccardo Ricciardi (Camera) e Stefano Patuanelli (Senato): «Riteniamo oggettivamente necessario che il governo e, segnatamente, il Presidente del Consiglio svolga sue comunicazioni in merito alle posizioni che intenderà assumere in occasione del Consiglio europeo del 6 marzo». Tocca quindi al ministro ai Rapporti col Parlamento, Luca Ciriani, mettere ordine: «Parlerò con Giorgia Meloni ma ha una agenda molto impegnata...». Si vedrà.
Intanto, sulla lite Zelensky-Trump, dai banchi dal governo si alza la voce di Nello Musumeci (ministro della Protezione Civile: «È stata una brutta vicenda, forse inedita che non ha precedenti. Ma come dice la presidente Meloni, bisogna già da ora lavorare per mantenere l’unità dell’Europa e per guardare a Kiev con tutta l’attenzione che merita. Perché se passa il principio che quello che è accaduto è ordinarietà, qualunque altro Paese il giorno dopo può trovarsi i carri armati sulle strade principali della città. E al tempo stesso bisogna riaprire un dialogo con gli Usa che sia improntato a un rapporto di pari responsabilità e di collaborazione reciproca».
A proposito di Ue, Elly Schlein (per cui «il silenzio di Meloni per non contraddire Trump e Musk dopo giorni di insulti all’Unione Europea e all’Ucraina sta relegando il nostro Paese al margine della discussione») si è pronunciata sull’adunata europeista lanciata da Michele Serra su Repubblica trovando il compiacimento di metà “campo largo” (“no” dai 5 Stelle e “nì” da Alleanza Verdi Sinistra). E sempre al quotidiano degli Elkann si è affidata la segretaria Pd, con una letterina, per dare il beneplacito alla sua presenza (tanti dem avevano già confermato venerdì). «Noi siamo pronti a dare una mano, a metterci a disposizione di una grande piazza senza bandiere di parte se non quella europea, a esserci e pure “scomparire” sotto il mare blu di quelle bandiere che per noi rappresentano identità e speranza», spiega Elly nella missiva.
Ogni scusa, poi, è buona per manifestare contro “le destre”: «I pilastri di quella che è stata la politica estera e la rete di alleanze dell’Occidente, dal dopoguerra a oggi, stanno saltando uno per uno, picconati da Trump con un pericoloso mix di cinismo, irruenza e incoscienza, dal suo nuovo asse con Putin e con la destra nazionalista in tutto il mondo». Dentro il Pd, però, i dissidenti della linea Schlein – squadernata nell’ultimo incontro al Nazareno – non mancano. Specie sulla guerra in Ucraina. L’europarlamentare Giorgio Gori è tranchant: «Sull'Ucraina c’è stato un passaggio, importante, che non ho condiviso. È stato quel “noi non siamo con il finto pacifismo di Trump né con l’Europa che vuole continuare la guerra”. Fino a prova contraria è la Russia che sta continuando la guerra. L’Europa non ha mai voluto la guerra». In piazza, non si sa ancora né dove né quando, ci saranno anche Usigrai (il sindacato dei giornalisti Rai), Fnsi (la Federazione nazionale della stampa italiani e Acli (le Associazioni cristiane lavoratori italiani).