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Giorgia Meloni, la mossa perfetta: come ha neutralizzato l'ultimo agguato della sinistra

Fausto Carioti

Il “piano A”, che prevedeva di nascondere le proprie divisioni sull’Ucraina, gli Stati Uniti e l’aumento della spesa militare dietro agli imbarazzi e alle retromarce di Giorgia Meloni, è fallito. A sinistra speravano che la premier di scena al Cpac, la conferenza dei conservatori statunitensi, fosse contraddittoria o almeno reticente sul punto più importante, il sostegno a Kiev. Elly Schlein aveva scommesso che, dopo l’attacco di Donald Trump a Volodymyr Zelensky, la sua rivale avrebbe taciuto sull’argomento. «La cosa che trovo clamorosa è il silenzio di Giorgia Meloni davanti a tutto questo», aveva detto. Invece Meloni ha dedicato all’Ucraina la parte decisiva del proprio intervento. Ha difeso quel popolo che «combatte per la sua libertà contro un’aggressione ingiusta» e spiegato alla platea più trumpiana del pianeta che «una pace giusta e duratura» con la Russia può essere costruita solo «con leader forti come Donald Trump». Così ora non c’è nulla a coprire le distanze che separano i partiti d’opposizione. Dove Giuseppe Conte, peraltro, ha tutto l’interesse ad allargarle.

La presidente del consiglio ieri ha fatto ribadire la propria posizione al consigliere diplomatico Fabrizio Saggio, nella lettera inviata all’associazione dei cristiani ucraini in Italia in occasione del terzo anniversario dell’invasione russa: «Sostenere l’Ucraina e il popolo ucraino significa sostenere la difesa della libertà». In privato, lontano da microfoni e telecamere, ha fatto anche altro.

 

 

 

«PUTIN NON È TUO PARI»
Lo racconta il britannico Sunday Times in edicola ieri, che cita le rivelazioni di un diplomatico europeo: «Meloni ha chiamato Trump questa settimana. Gli ha detto: “Vladimir Putin non è tuo pari. Solo Xi”», il presidente cinese, «“è tuo pari”. Lui ha ascoltato». Sul fronte europeo, è lei che ha insistito col presidente del Consiglio Ue, Antonio Costa, affinché, per discutere di come difendere insieme l’Ucraina, convocasse un vertice straordinario dei ventisette leader, se possibile allargato all’inglese Keir Starmer. Quel vertice si farà.

Intanto, oggi, la questione sarà discussa al summit G7 convocato dal canadese Justin Trudeau, per partecipare al quale Meloni ha spostato alcuni impegni con la delegazione degli Emirati arabi uniti, giunta a Roma carica di petrodollari da investire in Italia. A sinistra possono ignorare quello che la premier dice nei colloqui privati con gli altri leader, ma ciò che ha fatto in pubblico alla conferenza dei conservatori americani basta e avanza a raffreddare gli entusiasmi. Chi l’aspettava al varco per accusarla di essersi rimangiata la solidarietà agli ucraini ha dovuto tacere: le critiche per ciò che ha detto al Cpac sono state praticamente nulle.

Qualcuno con più onestà intellettuale degli altri, come Carlo Calenda, lo ha ammesso: «Le parole di Meloni sull’Ucraina sono state nette e chiare in un contesto molto difficile. Leva riconosciuto». Come argomento polemico è rimasto solo il braccio teso di Bannon, al quale si è aggrappato chi, come Nicola Fratoianni, non ha problemi a raschiare il fondo del barile. Così ora il problema è tutto nel campo dei suoi avversari.

Il Pd è diviso sull’Ucraina al proprio interno e con gli alleati, nei due parlamenti (quello italiano e quello europeo) e nelle piazze. Ieri, a Roma e altrove, si sono svolte le manifestazioni della comunità ucraina. Esponenti di Pd, Azione, Italia Viva e Più Europa hanno partecipato, e nel caso dei democratici la cosa non era scontata: l’adesione del partito di Schlein è stata sofferta ed è arrivata solo all’ultimo, anche se la segretaria è stata attenta a non farsi vedere. Mentre a Milano sfilavano gli esponenti di Forza Italia e il consigliere regionale di Fdi Marco Bestetti, dal palco, ha potuto rimarcare che venerdì, «a Washington, con una scelta chiara, Meloni ha chiamato la Russia per quello che è, cioè un violento aggressore, contro cui l’Europa deve dare sostegno all’Ucraina».

Dei Cinque Stelle e di Avs non si è presentato nessuno. Le uniche manifestazioni alle quali M5S e rossoverdi partecipano sono quelle organizzate dalle sigle pacifiste, dalla Cgil e dall’Anpi, ispirate dall’ostilità verso gli Stati Uniti e il governo italiano, e da una simpatia mal nascosta nei confronti della Russia. Li vedremo infatti oggi, assieme a Maurizio Landini, Gianfranco Pagliarulo e altri, agli eventi organizzati dalla “Rete italiana pace e disarmo” e altre organizzazioni.

 

 

 

IL NODO DEL 5 APRILE
È uno dei motivi per cui il Pd non ha ancora deciso se partecipare alla manifestazione «No armi» che i Cinque Stelle stanno organizzando per il 5 aprile. Schlein insiste a definirsi «testardamente unitaria», ma Conte e i suoi stanno provando in tutti modi a farle capire che non la vogliono. L’ex premier, nostalgico dei tempi in cui il presidente Usa lo chiamava «Giuseppi», fa il trumpiano e ogni giorno si allontana un po’ di più dalle altre sigle di sinistra. Chiara Appendino dice «noi siamo gli unici contro il partito trasversale della guerra», in chiara polemica col Pd. Davanti a questa offensiva, Schlein non ha una strategia. Proverà a trovare- o a imporre - una linea comune sull’Ucraina, gli Stati Uniti e le armi almeno al suo partito, nella riunione della direzione che ha convocato per giovedì. Ma intanto il piano principale è andato male e un altro ancora non c’è.