Cruda realtà
Dalla Cina alla guerra, il politicamente corretto non racconta la storia
Davvero pensiamo di poter leggere la complessità della Storia piegandola a una narrazione che si spacca in due tra giusto e sbagliato in sé, tra buoni e cattivi? Davvero possiamo pensare di escludere dall’analisi il cinismo e persino dosi di “male”? Non si tratta di giustificare il cinismo e il male come opzioni della Storia ma di includerli nelle analisi evitando di scolorire ciò che non ci piace.
Abbiamo usato termini in apparente contrasto pur di anestetizzare il dolore e il male: abbiamo chiamato le bombe intelligenti e posture belliche con l’espressione “operazioni di peacekeeping”; abbiamo esportato la democrazia con gli eserciti e persino inventato prove per sostenere ciò che si pensava fosse giusto da fare.
Confesso che trovo ipocrita persino la parola “pace” perché poi ci fa cadere nell’errore di non poter pensare che il cattivo, in quel processo di pace, ha un ruolo perché è vivo e non è stato sconfitto o ucciso. Portandoci all’oggi e correndo il rischio, credo che il grosso dei commenti sulla trattativa tra Trump e Putin sia inzuppato di quel politicamente corretto che non si scrosta dalla lettura dei fatti. Trump non può che aprire il tavolo di mediazione (vero e unico termine possibile) con Putin e non si può nemmeno pensare che a quel tavolo di mediazione il presidente russo non si alzi con una posizione di vantaggio derivante dall’assetto attuale sul campo di guerra. Non ha senso - sì, è cinico - impostare il ragionamento partendo dall’aggressione, perché tanto quell’attacco c’è stato (indubbiamente portato dai russi all’Ucraina, ma altrettanto indubbiamente non scaturito dall’oggi al domani e senza letture più complesse: ricordate quando Papa Francesco parlò dell’abbaiare della Nato alle porte della Russia?) e ha aperto un conflitto che dura da tre anni. Né si può soffermarci sul mancato raggiungimento del blitz che si era prefissato Putin, ammesso che davvero quella fosse la tempistica.
Nella lunga narrazione del conflitto la linea dominante è stata quella di non leggere il campo per quel che il terreno di guerra registrava, eppure - cinismo anche qui - è quello il verbale che vale per le negoziazioni. La Russia ha il controllo del Donbass, ha le mani sulla regione del Dnipro e ha rotto le arterie di collegamento che servivano agli ucraini. Il 29 novembre del 2024 il settimanale Internazionale raccontava in un reportage titolato “Stanchi della guerra” che “Dopo mille giorni di combattimenti per fermare l’invasione russa, gli ucraini sono stremati. E l’idea di cedere territori a Mosca in cambio della fine della violenza non è più un tabù”. Da allora questo sentimento tra quei cittadini si è solo rafforzato e ciò era ben noto anche all’ora presidente Biden; per questo Trump, con linguaggio ruvido, ha declassato Zelensky attaccandolo sulla sua leadership. E anche su questo va detto che la narrazione con cui si è costruito il “mito” del presidente ucraino oggi mostra tutti i suoi punti deboli: c’è un tempo in cui è meglio tacere e osservare (sì, lo ripeto: è meglio tacere) e non attaccare come ha fatto Zelensky verso Trump, accusandolo di arrivare alle trattative con la visione distorta della propaganda putiniana. Sostenere una cosa del genere o è sintomo di superbia odi follia.
L’Ucraina sarà merce di scambio, è inutile che ci giriamo attorno. Lo è perché l’Europa non ha peso né politico né militare; perché l’Ucraina non può reggere sul piano bellico; perché l’America ha un disegno più ampio (fronteggiare l’espansione della Cina) del conflitto in quest’area che per gli americani è un grande punto di domanda: perché a un cittadino del Minnesota, dell’Arkansass, della California dovrebbe interessare di una guerra che si consuma in un’area a lui sconosciuta.
Del resto a noi interessa quel che accade attorno a Taiwan? No, eppure lì c’è una linea rossa incandescente. La stessa che sta spingendo Trump a come controllare il suo vero avversario, che non è la Russia ma la Cina.