Sempre loro...

Ucraina, l'opposizione non è credibile: i più putinisti stanno a sinistra e li guida Conte

Giovanni Sallusti

Tra le molte ricadute del cambio di paradigma impresso da Donald Trump all’alfabeto geopolitico, ce n’è una tutta domestica e sempre più conclamata. Trattasi dell’eclisse definitiva di quell’asilo infantile politico-ideologico noto (troppo) ottimisticamente come “campo largo”. Eclisse di raziocinio, di tenuta nervosa e soprattutto di ogni credibilità, e come coalizione e come alternativa di governo.

Il Pd (parlandone da vivo) è a uno stadio dadaista. L’unico pseudoargomento che balbettano i suoi esponenti è che Trump sta sbagliando tutto ed è una minaccia per la democrazia (detto del presidente eletto della principale democrazia globale). La segretaria ciancia di «reagire alle provocazioni del tycoon», immaginiamo intendendo con “provocazioni” la volontà di risolvere due dossier lasciati incancreniti dall’amministrazione democratica, il pantano russo-ucraino e il garbuglio mediorientale. Un ex segretario, tal Letta Enrico, parla addirittura di «fermare Trump», e qualcuno dovrebbe mandare due infermieri all’Istituto Jacques Delors, attuale domicilio professionale del tapino. Folklore a parte, l’elemento più inquietante è quello che manca. Rimbomba nel circo equestre dem l’assenza di qualunque proposta alternativa vagamente percorribile al negoziato imbastito dall’Orco.

 

 


Se la mediazione da sola è una “provocazione”, significherà che Elly e i suoi scudieri sono pronti a mandare soldati italiani a presidiare la linea del fronte, come quantomeno con coerenza interna stanno ventilando Francia e Regno Unito? Assolutamente no, “Trump sbaglia” è uno slogan ottimo per fare cagnara liceale, mica vogliamo la responsabilità politica di calare una strategia costruttiva, son cose più grandi di noi. Il clima da gita scolastica lo riassume perfettamente l’ennesima supercazzola schleiniana, per cui serve “una politica di difesa comune” europea, ma che “attenzione, non è la corsa al riarmo”. Ci mancherebbe, ci difenderemo con le margherite. Mettete dei fiori nei vostri cannoni: una linea hippy che è oggettivamente il miglior favore a Vladimir Putin, altro che il tentativo trumpiano di ripristinare un equilibrio di pace e deterrenza. Chiamali, se vuoi, putiniani inconsapevoli. Un problema che non ha Giuseppe Conte, che è stato da subito uno zelante ripetitore del verbo moscovita.

Se vogliamo adottare la semplificazione, il più putiniano di tutti, visto che la sua linea è ed è sempre stata la resa all’invasore, non la pace attraverso la forza. Il suo “trumpsimo” dell’ultima mezz’ora è totalmente strumentale: quando parla di “retorica bellicista” usa un armamentario vetero-pacifista, non negoziale. La prova definitiva è che, dopo aver attaccato Giorgia Meloni perché non si allineerebbe a The Donald sull’Ucraina, l’ha attaccata perché «per farsi dare i bacetti da Trump e Musk ha strappato l’accordo con la Cina», ovvero l’adesione folle alla Via della Seta approvata da Conte medesimo quando era a Palazzo Chigi. Quindi la Meloni è troppo poco trumpiana, o lo è troppo? All’Avvocato della Repubblica Popolare Cinese, più che del Popolo, non interessa, lui ripudia la logica formale e tiene un’unica barra dritta, sempre verso Est, sempre verso autocrazie e totalitarismi assortiti. Conclusione: certo, il centrodestra annovera al suo interno sensibilità differenti, anche sulle esternazioni relative alla guerra di Trump (alcune delle quali risultano oggettivamente urtanti, per quanto spiegabili col consueto schema dell’iperbole trattavista). Ma questo è fisiologico, in una coalizione. La patologia italica è quella di un’opposizione che non esiste, né in quanto tale né tantomeno come ipotesi di governo.