Centrodestra spiato
FdI, esce il libro sulle chat segrete? Ora aspettiamo quelle del Pd...
Vorrei complimentarmi anch’io, davvero e non per scherzo, col giovane collega Giacomo Salvini, come ha fatto Monica Guerzoni nel salotto televisivo di Lilli Gruber, su la7, per i “fratelli di chat”. Che egli ha saputo ricavare - non gli chiedo come, bastandomi la generica “fonte interna” da lui indicata - con le incursioni fra le conversazioni elettroniche di cento e più esponenti del partito della premier Giorgia Meloni. Compresa naturalmente la stessa Meloni, che altrettanto naturalmente non ha gradito.
Giacomo Salvini, per carità, ha fatto il suo mestiere. Non hanno saputo fare il loro quelli che gli hanno fornito il materiale, diciamo così, su cui lavorare, e anche divertirsi. Che è il massimo che possa desiderare chi lavora appunto: stancarsi divertendosi.
Sì, lo so. L’articolo 15 della prima parte della Costituzione italiana, sui diritti e doveri dei cittadini, dice che “la libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione sono inviolabili”. E “la loro limitazione può avvenire soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria con le garanzie stabilite dalla legge”.
So anche dell’articolo 49 della Costituzione che dà a tutti i cittadini il diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale, senza per questo dovere rinunciare alla già ricordata e tutelata segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione.
Ma se sono gli stessi interessati, nell’uso peraltro di strumenti neppure immaginati dai costituenti un’ottantina d’anni fa come i telefonini e simili che sono diventati prolunghe dei nostri sensi, ora addirittura col supporto dell’intelligenza artificiale; se sono, dicevo, gli stessi interessati a non sapere o non volere custodire la loro riservatezza, è ridicolo prendersela col giornalista che fa il suo mestiere, anche di intrigante.
Riconosciuto tuttavia a Giacomo Salvini tutto quello che gli spetta, debbo dire che ora da collega anziano, e di una certa esperienza, diciamo così, di cronaca politica, anche a costo di incorrere qualche volta in supplementi di fatica come imputato, per esempio, di violazione di segreto di Stato o di diffamazione, mi aspetto da lui ben più del libro che ha appena prodotto sui “fratelli di chat”. Mi aspetto uguale curiosità, e capacità di soddisfare quella dei lettori, sul conto di altri che popolano la foresta politica italiana. Dove crescono, spesso loro malgrado, i funghi non solo della destra meloniana, ma anche di altri partiti o aree. Se curiosità, attenzione, dovere di cronaca, o di retroscena, come ormai si spaccia anche ciò che viene semplicemente inventato, o desiderato, si limitano solo a una parte, il gioco cambia.
La partita si fa diversa. E cambiano naturalmente i voti, pure quelli che ho appena assegnato a Giacomo Salvini, specie considerando la sua meritoria decisione, appresa navigando in internet, di ispirarsi alla scuola del compianto Walter Tobagi. Che ho avuto la fortuna di conoscere e di frequentare fino a quando i terroristi non lo ammazzarono sotto casa, a Milano, nel 1980. Quando egli aveva solo 33 anni e si era già guadagnato l’invidia dei colleghi e l’odio irriducibile dei brigatisti rossi, o solo aspiranti, come fu il caso dei suoi assassini.
Ciò che Walter non sopportava del nostro mestiere, come anche l’indimenticabile Giampaolo Pansa, è quando lo avvertiva preso da una curiosità a senso unico, come la chiamava quando ci incontravamo a Roma e parlavamo, appunto, del nostro lavoro.