Capetto rosso

Maurizio Landini smascherato da Sbarra: "In cosa ha trasformato la Cgil"

Lascia la guida della Cisl a 65 anni, il segretario Luigi Sbarra, come previsto dallo statuto del suo sindacato e perché crede "nel rinnovamento". Prima di cedere lo scettro a Daniela Fumarola, però, sferra dalle colonne del Corriere della Sera un durissimo attacco al collega Maurizio Landini, signore e padrone della Cgil. Una vera e propria lezione su cosa sia il sindacato, su quale funzione debba assolvere in funzione tanto dei lavoratori rappresentati quante delle istituzioni e del governo e su come invece possa essere utilizzato per trasformarlo in clava politica.

"Io e Maurizio – dice Sbarra al Corsera - abbiamo fatto tante battaglie comuni in questi anni. Ma noi abbiamo sempre valorizzato e ci siamo intestati i risultati del dialogo sociale con i governi Draghi e Meloni. La Cgil ha scelto la linea di uno scontro radicale, che si fatica a non definire ideologico; che trasforma e indebolisce la rappresentanza sindacale, trasformandola nel surrogato di un partito".

 

 

 

Difficile contestare le parole dell'ex capo della Cisl, visto l'iper-attivismo di Landini contro l'esecutivo di Giorgia Meloni, al punto da indire uno sciopero generale ancora prima della messa a punto della manofra finanziaria. Una specie di serrata "sulla fiducia". O meglio, sulla "sfiducia". Peraltro, nelle barricate, Landini ha trascinato pure l'Uil. Ma così, gli contesta Sbarra, "il sindacato rischia di diventare irrilevante", proprio perché può apparire pregiudiziale e poco obiettivo nelle sue battaglie. 

 

 

 

"La Cisl non ha mai fatto la stampella ad alcun governo. Landini, e non la Cgil che ha una storia fatta anche di grandi leader riformisti, ha invece una visione movimentista, antagonista, ancorata al Novecento: che pretende di scegliere le controparti in base al proprio credo ideologico e politico". In questo senso, sottolinea Sbarra, le frasi sulla "rivolta sociale" invocata come opposizione estrema al governo hanno segnato il punto di non ritorno: "Il sindacato confederale rappresenta più di dieci milioni di persone in Italia. Non deve incendiare le piazze, perché ha una grande responsabilità collettiva. Bisogna lavorare per riformare il Paese, non per rivoltarlo; favorendo la coesione sociale, la partecipazione, stimolando la concordia nazionale come ci indica il capo dello Stato".

Anche perché, fa notare Sbarra, dall'altro lato del tavolo c'è una Meloni che "sulle politiche di sviluppo ha dimostrato di saper ascoltare: come confermano molti provvedimenti delle ultime tre manovre. Ma ora serve più dialogo, un contratto sociale tra governo, sindacato e sistema delle imprese sulle riforme da fare insieme: alzare i salari, tagliare le tasse al ceto medio, cambiare le pensioni, attuare il Pnrr, combattere la denatalità e la fuga dei giovani, investire in formazione, sanità e sicurezza sul lavoro, costruire una nuova politica industriale ed energetica. Un grande patto sociale da negoziare con chi ci sta".

 

 

 

Ovvio che lo scontro senza se e senza ma non può certo aiutare, anzi. Utile, semmai, ad affermare il ruolo dello stesso Landini come capo politico: "A parole dice di voler difendere la contrattazione e poi non solo si oppone ai rinnovi contrattuali del settore pubblico; ma vuole affidare alla legge materie esclusive del sindacato come il salario, l'orario di lavoro o la rappresentanza. Una concezione subalterna del ruolo del sindacato rispetto ai partiti". Sarà perché, appunto, sta interpretando la Cgil come trampolino di lancio per candidarsi a guida di un sinistra-centro alle elezioni.