L'editoriale
Dietro il ritorno di Prodi c'è già la sfida per il Quirinale
Cosa bolle nel pentolone di Romano Prodi? Vuole fermare la cavalcata di Giorgia Meloni verso il 2032, ma questo è ovvio. C’è ben altro sul menù, è il pranzo di gala del Quirinale, si preparano oggi i piatti da portare in tavola quando scadrà il settennato di Sergio Mattarella, il Presidente che con Prodi condivide la storia (quella a sinistra) della Balena Bianca e la lezione di Giuseppe Dossetti sull’impegno dei cattolici in politica. Impedire alla destra di eleggere il suo primo Presidente della Repubblica, questo è l’imperativo dell’operazione centrista. Siamo in un ciclo storico conservatore, Prodi sa che potrebbe essere lungo, dunque Palazzo Chigi in questo scenario non è la casella più importante, perché nell’esercizio quotidiano dei poteri, nei reali rapporti di forza, nel gioco d’interdizione, è il Colle a dominare. Quello che Romano e compagni proveranno a far saltare, è il ponte che conduce la destra al Quirinale.
Prodi sta cuocendo il suo minestrone, la verdura è quella della sinistra democristiana. La domanda è solo una: hanno gas a sufficienza per alimentare i fornelli? La risposta è no, ma questa non è un’operazione per battere la Meloni con la spinta del voto popolare, è tutto un prepararsi, posizionarsi, rallentare, radunare. Il piano centrista nasce da una sfiducia diffusa nelle capacità di Elly Schlein di riequilibrare il Pd, questo è il punto. Prodi dice che quello è il partito di riferimento e che non ne nascerà un altro, ma la critica è chiara. Soluzione? Quando Ruffini evoca la «maggioranza Ursula» e Prodi invita il Pd a «costruire alleanze», entrambi mostrano i limiti culturali e la confusione dell’élite progressista, hanno l’orologio fermo, la maggioranza Ursula è superata anche a Bruxelles, mentre la destra meloniana in Europa svolge un ruolo chiave e ha un rapporto privilegiato con Washington dove comanda il partito Maga di Donald Trump.
Quando Prodi critica il rapporto di Meloni con gli Stati Uniti e il 47° Presidente, dall’eccesso delle sue parole viene fuori la sua preoccupazione per il consolidamento e la durata della premiership della destra. Temono il ciclo lungo, sperano nell’incidente, lo sollecitano. Quando Prodi afferma che il governo non ha fatto nulla per l’industria, dice una cosa non vera, ma il suo radicalismo va monitorato, perché questa è l’idea che circola in alcuni salotti editoriali e finanziari. Dietro Prodi, c’è un mondo antico, è quello che ha perso le elezioni ma conserva ancora il potere.