Il caso

"Coperti i veri finanziatori": ecco la carta che accusa Todde

Pietro Senaldi

Eja, Alessandra Todde potrebbe essere nei guai più di quanto non si pensi. La presidente grillina della Sardegna è stata dichiarata decaduta un paio di settimane fa dal Collegio Elettorale di Garanzia, che l’ha anche condannata a una sanzione di 40mila euro. Sostanzialmente, è accusata di aver violato le norme che regolano i finanziamenti della campagna elettorale: non ha nominato un mandatario, non ha aperto un conto corrente specifico, sono state riscontrate anomalie sulla tracciabilità di dazioni e spese, più altre amenità. Si pensava, trattandosi di Cinque Stelle, che il caos fosse per lo più figlio di incompetenza e faciloneria e che Todde fosse rimasta vittima della sciatteria dei compagni d’avventura, l’avvocato e senatore Ettore Licheri, il notaio e deputato Alfonso Colucci e il commercialista e onorevole Emiliano Fenu, i componenti del comitato elettorale.

Le 700 pagine spedite dal Collegio alla Procura di Cagliari disegnano una realtà diversa. «È evidente che il comitato ha creato uno schema intermedio tra i veri finanziatori e il candidato, in violazione della norma che impone di raccogliere fondi esclusivamente tramite un conto corrente dedicato» si legge nella nota firmata dalla presidente della Corte d’Appello di Cagliari, Gemma Cucca. La carta parla anche di «irregolarità e violazioni delle norme penali» nonché di «deposito di atti contrastanti e anomali». Insomma, sarebbe stato allestito un impianto atto a schermare i finanziatori elettorali della candidata governatrice.

 



LA PAROLA AI PM
Al momento, i pm hanno aperto un fascicolo contro ignoti, ma già da inizio anno indiscrezioni giornalistiche paventano possibili avvisi di garanzia per falso, tra i cui destinatari potrebbe esserci anche Todde. La presidente infatti ha cambiato tre versioni diverse in merito alle spese elettorali: due davanti al Collegio, al quale prima ha dichiarato di aver ricevuto contributi per 90mila euro, allegando i documenti del comitato elettorale, e poi ha giurato sul suo onore di non aver sostenuto spese né ricevuto fondi o assunto obbligazioni ma di essersi avvalsa solo di materiali e mezzi messi a disposizione dal partito, più una terza, all’indomani della vittoria, quando aveva detto pubblicamente di essersi pagata la corsa al voto. Sono contraddizioni che hanno irritato i magistrati e li hanno fatti optare per la sanzione più pesante, quella della decadenza. Ciononostante, tutto pareva incanalarsi su un binario lento e morente. La Giunta per le Elezioni, a maggioranza di centrosinistra, che deve ratificare e rendere efficace la decadenza decisa dal Collegio, in settimana aveva deciso di rinviare ogni pronuncia all’esaurimento dell’iter giudiziario, che prevede il ricorso della presidente ed eventuali altri due gradi di giudizio, fino alla Cassazione. Fatti i calcoli, almeno un altro anno abbondante durante il quale Todde, che la prossima settimana impugnerà la decadenza presso il Tribunale di Cagliari (i termini scadono il 2 febbraio, ndr), può governare placidamente. In questo scenario, agitato in procura e sonnolento in Regione, è caduta come un fulmine la dichiarazione di Giuseppe Conte, che sulla vicenda si era finora chiuso in uno sdegnato silenzio.

Dopo aver mandato avanti Licheri, che se l’è presa contro «gli sciacalli che attaccano la leonessa Alessandra», il leader pentastellato, da sempre paladino della magistratura, se ne è venuto fuori con una frase scombinata e intimidatoria nei confronti del Collegio di Garanzia della Corte d’Appello, composto da giudici, giuristi e commercialisti di prima fascia. «Ho letto le carte e ho consigliato alla presidente di fare causa per danni a quanti hanno firmato la sua decadenza, per aver tratto una conclusione illegittima e infondata» ha sibilato Giuseppi.

SI SALVI CHI PUÒ
Fare causa a un organo decisionale legittimo prima che un giudice ne smonti il verdetto? Mossa spericolata politicamente e senza capo né coda giuridicamente. E allora, perché un avvocato accorto come Conte la suggerisce, in barba peraltro all’editoriale del suo guru, Marco Travaglio, che una settimana fa, sul Fatto Quotidiano, ne aveva elogiato il silenzio sul caso sardo, esaltando il «rispetto per le istituzioni» dimostrato dall’ex premier a confronto dei cialtroni del centrodestra che, al suo posto, avrebbero scatenato l’inferno»? La risposta non può che essere in quelle settecento pagine nelle mani della Procura cagliaritana e nell’atto costitutivo del Comitato elettorale di M5S per Todde, che porta la firma dell’avvocato del popolo e del suo notaio. La miglior difesa è l’attacco. In Sardegna si insinua che M5S si senta minacciato e stia cercando di alzare un polverone per nascondere i suoi impicci, paventando un complotto del Collegio di Garanzia contro il Movimento. Tesi risibile, visti i profili, altissimi e apolitici, dei componenti dell’assemblea. Ma siamo al “si salvi chi può”, e in questa logica, Todde è diventata già una pedina sacrificabile, carne da macello buona per essere scagliata contro il fuoco nemico, mentre i generali si traggono in salvo.