tam tam impazzito
Vincenzo De Luca scaricato da quasi tutto il Pd: anche Mario Casillo a un passo dal mollarlo?
Tanto tuonò, che non piovve. E pensare che in tanti si erano convinti che ieri, nella tradizionale conferenza stampa del venerdì, rito datato, Vincenzo De Luca avrebbe messo i santissimi sul tavolo e sfidato il mondo. Si era sparsa la voce che ‘O Sceriffo si sarebbe dimesso, per bruciare sul tempo il ricorso del governo Meloni contro la legge regionale, che lui fece approvare di prepotenza lo scorso novembre e gli consente di candidarsi per il terzo mandato consecutivo alla presidenza della Campania. Sciogliere la giunta e portare tutti al voto, presentandosi con una lista personale, contro sinistra e centrodestra, e vincere prima della pronuncia della Corte Costituzionale, che con ogni probabilità gli sbarrerà la via. Un piano di guerra audace, ma per essere attivato avrebbe richiesto una forza personale che il governatore sente di non avere più, malgrado si atteggi ancora a signore assoluto.
Invece no; in scena non è andata la rivolta del sedicente Masaniello contro il potere centrale bensì un piagnisteo che, prendendo a prestito l’espressione napoletana del famoso chiagni e fotti, non fotte nessuno e non fotte a nessuno. De Luca ne ha dette di tutti i colori. Ha accusato l’esecutivo, e il Pd, di «temere gli elettori». Ha chiamato non si sa chi alla «battaglia contro l’ipocrisia della politica italiana, dove nessuno ha limiti di tempo, tranne uno io». Ha perfino citato Papa Wojtyla («aprite i cuori alla speranza e fate decidere ai cittadini da chi farsi governare») e attaccato l’inattaccabile Sergio Mattarella, «che alla fine sarà stato presidente della Repubblica per quattordici anni».
DUE DONNE CONTRO
Malgrado lo show tuttavia, già all’ora di pranzo i siti locali avevano declassato il suo sfogo, registrato alle 11, a quinta-sesta notizia della mattinata. Il futuro del governatore è molto meno interessante di quello di Kvicha Kvaratskheila, l’impronunciabile campione, tra gli artefici del terzo scudetto del Napoli, che Antonio Conte vuole scaricare per fare cassa e prendere qualcun altro. Perché nessuno è insostituibile, questo è il refrain del momento. Se si fosse dimesso per anticipare le urne, ‘O Sceriffo, confermato alla presidenza nel 2020 con quasi il 70% dei consensi, avrebbe tagliato ai suoi consiglieri almeno dieci mesi di stipendio, più di centomila euro, un conto che nell’urna in tanti gli avrebbero fatto pagare perché ‘cca nisciuno è fesso, tanto meno ha la memoria corta o punta su cavallli sfiancati. Una lista De Luca prenderebbe tra il 20 e il 25%, con il governatore tra l’8 e il 12, dicono i sondaggi riservati più favorevoli. L’uomo ha 75 anni. Investire su di lui non è più mossa accorta, per i dem di belle speranze.
Il presidente ha mille vite, l’ha dimostrato quando, dopo il clamoroso flop alle Politiche del ’92, allorché nella lista degli ex comunisti, che allora si presentavano sotto il nome di Pds, raccolse solo novemila preferenze, si riciclò come sindaco di Salerno di grande successo e impatto mediatico. Però in tanti sono convinti che ora sia prossimo all’ultimo giro. L’uomo di panza è stato steso da due donne. La premier lo ha messo ko scimmiottadolo e porgendogli la mano il 16 febbraio scorso a Caivano: «Presidente, sono quella stronza della Meloni. Come va?». Poi, due giorni fa, il ricorso del governo contro il terzo mandato. Elly Schlein gli sta scavando la fossa dal primo minuto in cui è diventata segretaria, quando ha dichiarato come intenzione iniziale quella di «smantellare il potere dei cacicchi locali».
“Nonostante il Pd” si intitola il libro con cui il governatore si autocelebra come grande amministratore.
Ma il Pd non ne può più dello strapotere e dei modi da operetta di ‘O Sceriffo. Pare che valuti di mollarlo perfino Mario Casillo, capogruppo in Consiglio Regionale. Schlein non si è mai fatta vedere a Salerno da che è segretaria e i suoi referenti in Campania, dal giovane deputato Marco Sarracino all’europarlamentare ed ex portavoce Sandro Ruotolo, all’ectoplasmatico commissario del partito sul territorio, il senatore bergamasco Antonio Misiani, nei loro ragionamenti non prendono De Luca in considerazione. Il partito vuole terminarlo, come già fece con un altro governatore diventato troppo autonomo, Antonio Bassolino.
Chi era costui?
LA RIDOTTA SALERNITANA
I pareri si dividono, come le squadre. C’è chi sostiene che De Luca sia irriducibile e al momento buono si schiererà contro tutti, ma la pensa così una minoranza. E chi è persuaso che l’uomo verrà a miti consigli, strilla perché è spalle al muro ma in realtà già vuole trattare: un salvacondotto per il figlio Piero, al parlamento da due legislature, l’indicazione e un accordo con il partito su chi sarà destinato a succedergli, una via di fuga a Salerno, dove potrebbe chiudere da sindaco, come tutto cominciò. D’altronde, è solo nella sua città che gli uomini del Pd sono pronti a rompere con il partito e seguirlo; altrove no, ed è altrove che si vince, visto che nella provincia di Napoli stanno tre dei cinque milioni e mezzo di abitanti della Campania, solo cinquecentomila dei quali risiedono a Salerno. Gli intermediari, per esempio l’europarlamentare Lello Topo, fresco campione di preferenze, e un po’ di potere contrattuale, al momento ancora ce l’ha.