La lezione
Capezzone, America e Italia insegnano: alle urne le destre non devono più dividersi
Diranno alcuni che è impossibile, o per lo meno improbabile: e invece proprio l’Italia, dal 1994 a oggi, mostra che un obiettivo politico apparentemente difficilissimo da conseguire può essere centrato, consolidato, e – dopo un trentennio – può perfino diventare un elemento acquisito e non più in discussione.
Si tratta del tema di unire le destre (declinate al plurale), evitando che le divisioni tra i partiti alternativi alla sinistra producano un doppio obiettivo assai poco desiderabile: per un verso far vincere gli avversari, e per altro verso lasciare che alcune componenti di destra, pur elettoralmente consistenti, siano emarginate e costrette all’irrilevanza istituzionale.
Dirlo rispetto ad alcuni grandi paesi occidentali sembra pura utopia. In questo momento, nel Regno Unito, la formazione di Nigel Farage è vista dai Conservatori come una vera e propria minaccia all’esistenza stessa dei Tories. E – per converso – tutta la campagna di Farage è polemicamente rivolta contro i Conservatori per scalzarli dal loro ruolo di partito egemone a destra.
Altrettanto complicato è il caso francese, dove pare difficilissima la compatibilità tra il partito più forte a destra, quello di Marine Le Pen e Jordan Bardella, con i Republicains (eredi dei gollisti), per non dire della corsa solitaria e in ultima analisi inconcludente di Eric Zemmour, mentre Marion Marechal Le Pen, con intelligenza politica, insiste da tempo sull’opportunità di una coalizione tra destre diverse.
In Germania tutto pare addirittura impossibile, con la Cdu che pensa di avere la vittoria in tasca alle elezioni di febbraio (ma sarebbe costretta a una grande coalizione con i socialdemocratici) e vede come il fumo negli occhi l’ascesa alla propria destra di AfD: partito indubbiamente dalle posizioni talora controverse e con alcuni dirigenti assai discutibili. Ma la performance della leader Alice Weidel, l’altra sera con Elon Musk su X, è stata spettacolare e spiazzante: una linea libertaria e pro mercato in economia, anti-indottrinamento a scuola, e ovviamente molto rigida sull’immigrazione.
Ecco: dove sta scritto che, per una sorta di incantesimo odi maledizione, queste forze debbano per forza combattersi tra loro, facendo la felicità delle sinistre? In fondo ciò che le divide è assai meno rispetto a ciò che le differenzia dai nemici. Certo, poi contano molto i diversi sistemi elettorali e istituzionali: ma la volontà politica, se c’è, può essere più forte delle tecnicalità.
OPZIONI
E allora esisterebbero due strade classiche per superare il problema. La prima – per mille ragioni preferibile – sarebbe quella americana, aiutata da un meccanismo istituzionale ed elettorale che impone di stare insieme. Poi, dentro e a lato del Partito Repubblicano, convivono molte anime.
Un uomo geniale e visionario come William Buckley jr. lo teorizzonel 1955 in National Review, e parlò di «fusionismo»: non si tratta di annullare o annacquare alcunché, né di mescolare ingredienti in modo confuso, ma di far convivere culture diverse (destra identitaria, destra nazionale, destra libertaria, destra religiosa, destra laica, ecc.) unite su un’agenda elettorale essenziale e poi naturalmente e felicemente differenti su tutto il resto.
ECCEZIONI
E così, con rare eccezioni (si pensi a quando la candidatura indipendente di Ross Perot divise il campo), negli Usa ogni quattro anni si realizza un piccolo miracolo: c’è un portabandiera per le elezioni, e contemporaneamente si garantisce pieno diritto di cittadinanza a tutte le culture attraverso circoli, riviste, associazioni, giornali, think tank.
La seconda strada – ancora più rispettosa delle diversità tra partiti – è quella italiana, attraverso una coalizione tra forze distinte ma alleate. Può capitare che a guidare sia un soggetto diverso in ogni ciclo politico: è successo a lungo con Silvio Berlusconi, poi per una stagione con Matteo Salvini, e ora con Giorgia Meloni. Il che – non nascondiamocelo – impone comunque un prezzo alle forze che, in una legislatura, si ritrovano nella parte di alleato medio o più piccolo. Ma nessuno è così autolesionista da far saltare l’alleanza.
C’è da augurarsi che questo schema (la coalizione tra partiti di centrodestra) sia presto esportato anche a Londra, a Berlino, a Parigi. E chissà che le contestatissime (da sinistra, non a caso) mosse di Elon Musk non possano favorire proprio questo esito.
Viviamo in un tempo in cui gli elettori alternativi alla sinistra sono in genere in maggioranza: occorre trovare formule politiche capaci di fotografare questa evidenza, e contemporaneamente tali da favorire una competizione di idee che non sfoci nello scontro e nella divisione interna. L’Italia ha qualcosa da insegnare al riguardo.