Occhi chiusi
Cecilia Sala, Capezzone: "I compagni non trovano l'indirizzo degli ayatollah"
A scanso di equivoci e divagazioni, tanto vale partire da un indirizzo fisico ben preciso: Roma, Via Nomentana 361. Si trova lì la sede dell’ambasciata in Italia della Repubblica islamica dell’Iran, ed è – appunto – lì che vive e opera la rappresentanza diplomatica del regime dittatoriale teocratico che, oltre a opprimere il proprio popolo, oltre ad avvelenare il Medio Oriente (con lo zelante contributo di Hamas, Hezbollah, Houthi), oltre a segregare le donne, oltre a perseguitare gli oppositori e i dissidenti, oltre a rovinare la vita alle minoranze sessuali, da una decina di giorni – come ultimo dei suoi atti di prepotenza e arbitrio – tiene sequestrata la nostra concittadina Cecilia Sala.
E allora – vale per le anime belle della sinistra e per ogni persona di buona volontà – è lì, a via Nomentana 361, che dovrebbe tenersi una grande manifestazione con lo striscione #CeciliaLibera (o se preferite #FreeCecilia). Del resto, tante altre volte la stessa compagnia di giro è stata lestissima a organizzare piazzate e chiassate sempre a Roma ma in Via Veneto (civico 121, per gli amanti della precisione), sede dell’ambasciata Usa.
Lo scriviamo con tanto di indirizzo e numero civico giusto (Via Nomentana 361, non Via Veneto 121) perché abbiamo la sensazione che diversi partecipanti al dibattito politico e giornalistico di queste ore abbiano smarrito non solo il navigatore della loro auto, ma pure un minimo di bussola politica.
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Sentiamo parlare degli Stati Uniti, come se il sequestro di Cecilia Sala fosse dipeso o dipendesse da Washington. Sentiamo parlare di libertà di stampa, ed è sempre utile farlo: ma in questo caso – ahinoi – siamo davanti a un sequestro che ha il chiaro scopo di trasformare una cittadina italiana in un prezioso ostaggio per il regime che la trattiene, del tutto indipendentemente dal contenuto dell’attività giornalistica della Sala. E ancora sentiamo un confuso e vago vociare rivolto al governo (incluse manifestazioni curiosamente convocate davanti alle prefetture di città italiane): come se l’esecutivo non stesse facendo abbastanza.
Delle due l’una: o chi agisce così lo fa consapevolmente, e dunque sposta dolosamente l’obiettivo (l’America, la Meloni, il giornalismo), oppure lo fa senza rendersi conto del cuore della questione. E cioè che abbiamo a che fare con una dittatura spietata e ora anche traballante, che non si fa scrupolo alcuno, e sequestra una persona con l’obiettivo di farne merce di scambio per un ricatto internazionale.
Dunque, chiunque abbia conservato un minimo di onestà internazionale deve rivolgersi a Teheran, deve protestare contro l’Iran, contro il dittatore Khamenei e i suoi terribili pasdaran. Si tratta dei signori che, nel loro feroce odio contro Israele (che vorrebbero cancellare dalla faccia della terra), hanno alimentato e sostenuto le filiere terroristiche di Hamas e Hezbollah, ora spettacolarmente decapitate da Gerusalemme.
Peccato che, nelle città occidentali (incluse quelle degli Usa), abbiamo assistito per mesi a decine e decine di manifestazioni ammiccanti verso Hamas e verso il fondamentalismo islamico. Al punto – atroce beffa – che qualche mese fa proprio l’ayatollah Khamenei si tolse lo sfizio di ringraziare gli studenti e i professori delle università occidentali.
Il macellaio-capo dell’Iran, dal suo profilo su X, «in nome del Dio compassionevole e misericordioso», scrisse proprio a loro: «Cari studenti universitari negli Stati Uniti d’America, questo messaggio è un’espressione di empatia e solidarietà con voi». E ancora: «Voi state dalla parte giusta della storia», «avete formato un ramo del Fronte della Resistenza e avete cominciato un’onorevole lotta a dispetto della spietata pressione del vostro governo che supporta apertamente i sionisti».
Gran finale: «Il supporto e la solidarietà dei vostri professori di fronte alla brutalità della polizia è uno sviluppo consequenziale. Anche io simpatizzo con voi giovani, e apprezzo la vostra perseveranza». Rileggendo quelle righe, si coglie la tragica beffa, lo sberleffo insanguinato. Magari, nello stesso minuto in cui quel tweet fu lanciato, altri studenti e studentesse iraniani saranno stati oggetto di violenza e repressione per ordine dei pasdaran, altre donne saranno state segregate, altre adultere lapidate, altri omosessuali orrendamente puniti e perseguitati.
Ma intanto la guida suprema si divertiva a seminare zizzania in un Occidente che tuttora crede (e chissà che non abbia ragione, almeno su questo) senza bussola e senza princìpi, incapace di distinguere tra democrazia e terrore, e dunque luogo ideale per immettere e far circolare altri veleni.
È esattamente quell’uomo che ora sequestra Cecilia Sala. È quell’uomo che guida il regime che l’ha incarcerata. Ed è a lui – non ad altri – che occorre indirizzare il nostro sdegno, la nostra protesta, e la nostra volontà di rivedere libera la nostra giovane concittadina. Nessuno sbagli indirizzo, per favore.