Pigi Battista, la sentenza: "Centro senza speranze, è solo cabaret"

Pietro Senaldi

«Il federatore dei centristi? Puro cabaret. L’operazione non ha nessuna possibilità di successo. Assistiamo a un talent show anche un po’ crudele, come La Corrida di Corrado. Si fa il nome di Ernesto Maria Ruffini ed ecco che allora si alza Beppe Sala. Ma dove sono finiti Matteo Renzi e Carlo Calenda nel frattempo? E poi vogliamo scordarci di +Europa e di Luigi Marattin, con il suo 0,3% potenziale? Scene da asilo infantile».

Ma perché la sinistra non può avere il suo centro, o comunque la sua ala moderata come ce l’ha il centrodestra con Forza Italia? 
«Eh no, Forza Italia non è centro, appartiene allo schema che Silvio Berlusconi ha dato al centrodestra e che regge da 30 anni. Il centro non è di centrodestra e neppure di centrosinistra. L’errore è pensare che la sinsitra abbia bisogno di un centro organico a essa» 
Però i Ds, prendendosi la Margherita e fondando il Pd, si sono presi la gran parte della vecchia Dc. Forse la confusione parte da lì?
«L’operazione era giusta. Solo che non ha funzionato. Anche adesso, i cosiddetti riformisti del Pd - ma il Pd poi non dovrebbe essere tutto riformista per definizione?- anziché cercare un federatore del centro che riunisca i cespulgi e gli schieri con Elly Schein, ma in posizione subalterna, farebbero bene a strutturare un’opposizione interna e fare politica, lottare per prendersi il loro spazio. La cosiddetta traversata nel deserto che nessuno vuole iniziare mai».

Pierluigi Battista, eminenza del giornalismo politico, ne ha viste parecchie. Abbastanza per sentenziare che «in Italia il centro vale tra l’8 e il 10%, ma a patto che vada da solo, e si allei solo dopo il voto; se si allea prima invece, evapora, perché in politica la somma non fa mai il totale, è un discorso che vale fin dal Partito Popolare di Mino Martinazzoli, che è stato confermato dalla salita in campo di Mario Monti e perfino dall’accoppiata Calenda-Renzi del 2022». E questa non è solo un’analisi, ma anche una testimonianza diretta, visto che «lo dice uno che, probabilmente - anzi, sicuramente - facendo un grande errore ha votato centro, ma proprio perché non voleva che esso dipendesse da nessuno».

Ma, chiesto a chi lo ha votato, che cosa manca a questo centro? 
«La Democrazia Cristiana, un partito del 32%. Oggi il centro è passato da baricentro della politica a una posizione di subalternità». 
Perché Silvio Berlusconi è riuscito a prendersi e fidelizzare una parte di elettorato moderato e la sinistra invece non ne è stata capace? 
«Perché Berlusconi era una realtà politica vera, rappresentava degli interessi e degli elettori, le partite Iva, i piccoli imprenditori, i commercianti... L’Ulivo non aveva una forza politica autonoma alle spalle. Romano Prodi era a suo modo un gigante, ma era un semplice federatore, tant’è che quando i partiti hanno deciso di liberarsene, in poco tempo hanno fatto il ribaltone, sostituendo Rifondazione Comunista, che dava l’appoggio esterno, con l’Udeur di Clemente Mastella, benedetto da Francesco Cossiga. E tutti i tentativi di dare consistenza all’Ulivo, dall’Asinello alla Margherita, sono falliti».
Come fallirà il tentativo del Ruffini di turno? 
«Se non lo si dà già per fallito... Non voglio fare sociologia d’accatto, ma per avere successo in politica bisogna rappresentare un pezzo di società. Il centro del centrosinistra di che cosa è rappresentativo? È solo nomenclatura. Nello specifico, Ruffini, degnissima persona, rappresenta le tasse. Non un gran biglietto da visita».
Qualcosa però dovrà pur accadere: il fallimento di Calenda, le difficotà di Renzi, l’inconsistenza di +Europa non lasciano uno spazio da riempire? 
«Non ci credo, per due regole della politica: le creazioni da laboratorio non hanno mai futuro e le alleanze elttorali vanno sempre a finire male, se non sono radicate. Guardiamo la storia di chi ha vinto: i grillini hanno avuto successo perché rappresentavano l’antipolitica, Giorgia Meloni è arrivata a Palazzo Chigi dopo un percorso di 25 anni che partiva da basi solide, anche emozionali. I politicismi, i tatticismi, i capolavori politici alla Massimo D’Alema e alla Matteo Renzi vengono poi inevitabilmente bastonati dagli elettori, che non si fanno portare in giro».
Sembra che il tempo sia trascorso invano. Perché, dopo 25 anni dal fallimento di Prodi, la sinistra cerca ancora un federatore? 
«Perché non ha mai risolto il problema di non saper parlare al mondo non di sinistra. E la segreteria di Elly Schlein evidenzia al massimo questa incapacità. Lei vince dentro il Pd, e lo fa anche crescere; però, schiacciandosi su M5S e l’estrema sinsitra, fa una scelta identitaria che paga ma non può portare alla vittoria».
Il Pd rischia di andare incontro a un’altra scissione, vista l’insofferenza dell’ala cattolica riformista? 
«Non credo proprio. E dove vanno? Sono privi di forza elettorale».
A gennaio Graziano Delrio raduna i cattolici dem... 
«Sono privi di leadership riconosciuta. Hanno futuro solo se stanno nel Pd. Se vogliono pesare, aggreghino qualche rappresentanza sociale, rami di Coldiretti o Confcommercio, il sindacato della Cisl».
Ma perché tutto questo movimento allora? 
«Schlein ha fatto la sua scelta: coprire l’elettorato moderato con Renzi. Evidentemente non a tutti gli ex del Pd renziano sta bene».
L’alleanza con Renzi eslcude quella con i Cinque Stelle però... 
«È da vedere. Da qui a tre anni può sucedere di tutto. Umberto Bossi dava a Berlusconi del fascista, lo chiamava “Berluscaz... Poi è diventato il suo alleato più fedele. Beppe Grillo chiamava i dem “pidioti”, poi chi ha governato insieme, arrivando perfino a sostenere con loro Mario Draghi... Viviamo di presentismo assoluto, ma per azzeccare le scelte in politica invece bisogna avere pazienza e prospettiva storica».
Nel 2022 la sinistra non riuscì a mettersi d’accordo... 
«Non ne ebbe il tempo. Enrico Letta aveva come programma l’agenda Draghi: come faceva ad allearsi con Giuseppe Conte, che innescò la caduta di Draghi? Ma anche oggi: come si fa a pretendere che un elettore grillino voti Ruffini nel suo collegio, o viceversa che un moderato voti Roberto Fico?».
Con questo ragionamento la sinistra è destinata a non unirsi mai? 
«Si può unire contro, come già fece con Prodi o come ha fatto in Francia, per evitare la vittoria di Marine Le Pen. Solo che però, dopo la vittoria, non riesce a governare, come ci conferma quel che sta accadendo a Parigi».
Che speranze ha il centro? 
«Allo stato attuale, nessuna. Certo, se ci fosse un altro sistema elettorale, una sorta di proporzionale con cancellierato alla tedesca, il centro potrebbe (ri)nascere, ma non è detto che andrebbe a sinistra. Infatti mi sembra che Giorgia Meloni non sia così contraria a questa ipotesi».