Da che parte stanno
Il Pd aderisce alla piattaforma "A pieno regime": così si accoda agli antagonisti contro la polizia
Il Pd ha aderito alla manifestazione, e alla piattaforma, della rete nazionale A pieno regime contro il disegno di legge sicurezza l’11 dicembre. Tre giorni prima del corteo andato in scena ieri a Roma, il partito di Elly Schlein si è aggiunto alla lista delle sigle che si sono mobilitate contro il provvedimento approvato alla Camera e adesso all’esame del Senato. Una legge chiesta a gran voce dai sindacati delle Forze dell’ordine per la sua capacità di «rafforzare la tutela degli agenti» (così Domenico Pianese, segretario generale del Coisp, dopo l’ennesima giornata di violenza a Torino il giorno dello sciopero generale dell’Usb), ma osteggiato da una galassia che va dalla sinistra parlamentare (tutti i partiti del “campo largo” avevano rappresentanti al corteo) ai centri sociali, passando per la rete Antifa, i gretini di Friday’s for future Italia, gli studenti pro Pal, le Ong (Mediterranea Saving Humans), l’Anpi, la Cgil, gli eco-vandali di Ultima generazione, le femministe romane di Lucha Y Siesta, e le solite associazioni vicine all’opposizione (Associazione nazionale giuristi democratici, Articolo 21, Libera, Legambiente, Arci).
ALLEATI INGOMBRANTI
Del resto i promotori erano stati chiari, presentando la protesta: «Intrecceremo questa battaglia con tutte le forme di opposizione sociale che in questi mesi stanno animando i territori e il Paese». La lista delle adesioni ne è la prova. A spiccare sono le storiche sigle dell’antagonismo. Tra gli altri, ci sono i Centri sociali del Nord-Est, il Centro sociale Rivolta di Marghera, il Laboratorio Insurgencia di Napoli, Action, Casetta Rossa e lo Spintime labs di Roma, il Lambretta di Milano.
Del resto il documento che accompagna la manifestazione nazionale parla chiaro. Il ddl Sicurezza è bollato come «l’apice di un disegno ampio guidato da Giorgia Meloni che punta chiaramente a destabilizzare i valori, le garanzie e i principi della giustizia». Il testo approvato a Montecitorio «segna un salto autoritario senza precedenti, colpendo con carcere e repressione i pilastri della democrazia: il dissenso e il conflitto sociale».
Quel conflitto sociale auspicato, nelle scorse settimane, da Maurizio Landini, il segretario generale della Cgil, non a caso una delle organizzazioni che ha aderito alla protesta. Gli organizzatori hanno già fatto sapere che non si fermeranno qui: «La nostra mobilitazione continuerà anche nei giorni in cui il ddl sicurezza approderà in Aula». Quindi la parte più inquietante: «Con pratiche diverse, faremo in modo che questo attacco ai diritti fondamentali non diventi legge». E certo suscita perplessità il fatto che non solo il Pd, ma tutti i partiti dell’opposizione (dal M5S ad Avs), abbiano di fatto sottoscritto una piattaforma che sembra non riconoscere il diritto del Parlamento di approvare una legge. I primi appuntamenti sono stati fissati: dopo la “pausa natalizia”, sono stati convocati tre giorni di ulteriore mobilitazione per il 10, 11 e 12 gennaio, che «culmineranno in un’altra grande assemble nazionale».
A peggiore il clima c’è anche la connessione temporale con quanto accaduto, 24 ore prima, a Torino. Dove è andata in scena l’ennesima manifestazione che si è conclusa con un’aggressione alle Forze dell’ordine. Proprio i nuovi lanci di sassi e uova contro le divise hanno spinto i sindacati degli agenti a schierarsi senza esitazione a favore delle misure in discussione in Parlamento. «È quanto mai urgente l’approvazione di norme che prevedano un’area di sicurezza tra i manifestanti e gli operatori delle Forze dell’ordine», ha detto Stefano Paoloni, segretario generale del Sindacato autonomo di polizia. Quanto sta accadendo in Piemonte, una delle aree più calde dell’antagonismo, preoccupa gli apparati della sicurezza. «Torino si conferma una piazza difficile e pericolosa, che certamente merita approfondimenti», ha detto lo stesso Paoloni.
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L’ALLARME DEI POLIZIOTTI
Il prefetto del capoluogo piemontese, Donato Giovanni Cafagna, ha delineato sul quotidiano La Stampa uno scenario tutt’altro che rassicurante: «Nelle retrovie c’è qualcuno che soffia sul fuoco per alimentare sistematicamente un clima di contrapposizione e di tensione. Questo è un aspetto delicato che va considerato con attenzione sotto tutti i profili».
Ma stavolta dietro gli studenti non ci sarebbe solo il centro sociale Askatasuna. Chi era lungo il tragitto del corteo ha notato qualcosa di nuovo, una saldatura tra vecchi e nuovi ambienti della galassia antagonista che va al di là della tradizionale presenza di Askatasuna. Di certo c’è una «violenza sistematica e organizzata», è ancora Pianese a parlare, che non può essere ulteriormente sottovalutata. Soprattutto alla luce di quanto sta accadendo sul ddl Sicurezza, sul diritto di sciopero (che ha infiammato le proteste venerdì scorso) e sul caso di Ramy, il ragazzo di 19 anni morto in un incidente in scooter a Milano durante un inseguimento dei carabinieri.