Super-flop
Ernesto Maria Ruffini attacca il governo? I numeri lo smentiscono
Alla fine si è dimesso, Ernesto Maria Ruffini, bruciando le tappe di un percorso che, in tanti, danno per certo sia diretto all’impegno politico attivo. Dopo i rumors che lo davano pronto a fare il federatore del campo largo o interessato a costruire una gamba di centro, seguiti a inviti (espliciti a destra, meno a sinistra, ma altrettanto presenti) di scegliere tra i due “mestieri”, Ruffini ha scelto, lasciando il ruolo che ricopriva.
È vero che l’ormai ex direttore dell’Agenzia delle Entrate, nell’intervista al Corriere della Sera, dove ha annunciato il suo addio, ha negato di essere interessato ad altro: «Non scendo in campo». Ma in pochi ci credono. Intanto, però, ha disseminato il suo addio di polemiche, lamentando di non aver mai visto «pubblici funzionari additati come estorsori di un pizzo di Stato» e stigmatizzando il dibattito scaturito in questi giorni attorno al suo nome. Un dibattito che, a suo dire, «descrive un contesto cambiato» rispetto a quando ha assunto l’incarico e anche rispetto a «quando ho accettato di rimanere». Per questo, ha concluso, se ne va.
E ora? Perché questa era la domanda che, da ieri mattina, è rimbalzata in decine di telefonate e chat. La prima conseguenza, che prescinde persino da quello che deciderà di fare, è che, come dice una persona che sta seguendo da vicino la vicenda, «ha fatto saltare lo schema su cui lavorava Elly Schlein». Ossia l’idea che, essendo il Pd senza alcun dubbio il principale partito del centrosinistra e visto che lo statuto del Pd lo prevede, il candidato premier sarà senza dubbio il segretario del Pd. Cioè Schlein. Circostanza ribadita più volte anche da Matteo Renzi. La comparsa di Ruffini, sponsorizzata da pezzi novanta del centrosinistra (vedi Romano Prodi), dice il nostro osservatore, «ha incrinato per sempre questo schema».
Anche se si limitasse a fare un soggetto di centro, a fare una Margherita 4.0, l’evoluzione naturale sarebbe, a ridosso delle Politiche, chiedere le primarie di coalizione. Se c’è un nuovo leader, se prende forma un nuovo soggetto, se nuove energie desiderano contribuire al campo largo, cosa c’è di meglio che cementare questa alleanza con primarie di coalizione? Si aggiunge che molti sono convinti che il candidato premier debba essere una personalità capace di dialogare con i moderati, di andare oltre la sinistra classica. In ogni caso, da quando Ruffini è in campo, la predestinata lo è meno.
Che sia questa la ricaduta, lo conferma un altro indizio: il sostegno di Prodi, ispiratore, teorico e padre delle primarie all’italiana. Non stupirebbe, dunque, se presto o tardi qualcuno da queste parti le proponesse. Peraltro, su questa strada, Ruffini troverebbe un alleato insospettabile: Giuseppe Conte. Anche per il leader del M5S, infatti, le primarie di coalizione sono l’unica chance per tentare il ritorno a Palazzo Chigi.
Questo spiega anche perché, dalle parti di Schlein, il tormentone su Ruffini non appassiona per nulla. «Noi dobbiamo concentrarci sul Pd, rafforzare il Pd. Non è nostro compito guidare processi altrui», diceva l’altro giorno Francesco Boccia. Chi guarda con interesse a questa novità sono i popolari, ormai fuori dal Pd, e riformisti rimasti nel Pd, che soffrono di essere sempre più marginalizzati. Ma anche da queste parti, c’è molto scetticismo: «Lo spazio di un soggetto di centro c’è, ma la presenza di Calenda e di Renzi rende tutto bloccato», si osserva. Del resto Ruffini non è l’unico aspirante. C’è anche Beppe Sala e i renziani guardano a Franco Gabrielli, ex capo della polizia. Poi, però, serve il fisico: «Sala o Ruffini ce l’hanno la determinazione necessaria?», si chiede un altro dem.
Sono abbastanza “cattivi” per resistere agli attacchi che verranno non solo dai lontani, ma soprattutto dai vicini? Ruffini, si ammette, ha una rete di relazioni importante. Dal Vaticano al cattolicesimo democratico che fu fondamentale per la nascita dell’Ulivo. Ma il mondo è cambiato, non siamo più ai tempi di Prodi, Ruffini, ci si chiede da queste parti, avrebbe la forza di imporsi in un mondo in cui l’immagine è tutto? Riuscirebbe a togliere lo “stigma” di esattore delle tasse? Meglio, si dice, Gentiloni, che, dietro l’apparenza morbida, si è fatto le ossa e sa combattere. Tutte riflessioni che dimostrano come la strada di Ruffini sia, per ora, in salita.