L'intervista

Legge Calderoli, Guzzetta: "Il referendum? Ecco quando i giudici possono stopparlo"

Elisa Calessi

La strada per sapere se il referendum sull’autonomia differenziata si farà o no, spiega Giovanni Guzzetta, professore di Diritto Pubblico all’Università di Tor Vergata, è ancora lunga. «Se il Parlamento corregge il disegno di legge - e a mio parere basterebbe correggere un solo punto, quello della legge delega sui lep- si porrà di nuovo il problema di verificare se questo intervento è sostanziale o no».

Quindi se il Parlamento corregge il disegno di legge, la Cassazione deve tornare a riunirsi?
«Sì, per decidere se, a fronte delle modifiche fatte, il quesito è legittimo o no».

Partiamo dalla ordinanza della Cassazione, che ha dato il via libera al referendum sull’Autonomia differenziata. Ora cosa succede?
«Gli atti vengono trasmessi alla Corte costituzionale che entro il 20 gennaio deve fissare una camera di consiglio per decidere l’ammissibilità del referendum. Poi, entro il 10 febbraio, deve depositare la sentenza».

 

 

 

La Consulta si era già riunita il 14 novembre scorso. Perché ora torna a riunirsi?
«Si era riunita per valutare la legittimità costituzionale della legge, ora si deve riunire per valutare l’ammissibilità del referendum».

Perché c’è stato questo nuovo passaggio in Cassazione?
«Siccome la Consulta ha dichiarato l'incostituzionalità di alcune parti del disegno di legge sull’autonomia, si trattava di verificare se il quesito referendario fosse ancora attuale. C’è, infatti, una giurisprudenza costituzionale, a partire dal ‘78, secondo cui se la legge cambia e, intervenendo la Consulta, le norme sono cambiate- bisogna vedere se questo cambiamento incide sulla proposta referendaria o no. Se il cambiamento è sostanziale, il referendum non è più legittimo, perché è da considerarsi superato. Se non lo è, il quesito si trasferisce sul nuovo testo. Con l’ordinanza di oggi, la Cassazione ha verificato che l’incidenza della Corte costituzionale non è stata tale da modificare in modo sostanziale la legge».

Il Parlamento, però, deve intervenire lo stesso per modificare il testo, giusto?
«La gran parte delle questioni che la Corte ha stabilito siano incostituzionali a mio parere non richiedono un intervento legislativo, perché la Corte stessa ha dato una interpretazione additiva tale da renderle costituzionali».

Cosa accade se la maggioranza interviene sulla legge, correggendo i 7 punti sollevati dalla Consulta?
«Intanto non sono sette i punti che richiedono correzione. Come ho detto, molti di questi sono già stati di fatto corretti dalla Corte, che ne ha dato una interpretazione. L’unico punto su cui è sicuramente necessario un intervento è la delega per la definizione dei livelli essenziali di prestazione. La Corte costituzionale ha ritenuto che la norma non fosse abbastanza specifica. Se il Parlamento corregge questo punto, si porrà di nuovo il problema di verificare se questo intervento è sostanziale o no».

Quindi, in caso di modifiche, la Cassazione deve tornare a riunirsi?
«Sì, per decidere se, a fronte delle modifiche fatte, il quesito è legittimo o no».

La maggioranza potrebbe decidere di non correggere niente e andare al referendum?
«Assolutamente sì. Poi, a prescindere dal referendum, dovrà fare una nuova delega o una legge sui livelli essenziali delle prestazioni».

Quanto e cosa deve cambiare il legislatore per evitare il referendum?
«Dovrebbe cambiare dei punti sostanziali, non limitarsi a un mero maquillage. Il punto fermo, sin dalla sentenza 68/78 della Corte costituzionale, è che cambino i principi ispiratori o il contenuto essenziale delle norme».

 

 

 

Secondo lei il quesito referendario verrà ammesso o no?
«Difficile dirlo, perché i criteri utilizzati dalla Corte sono tanti. Per esempio la Corte dovrà stabilire l’omogeneità del quesito, cioè se complessivamente interviene su un tema solo o contiene più domande. Dipende da come la Corte considera la omogeneità».

L’obiezione che in molti fanno è che la riforma del Titolo V è ormai superata perché molte materie sono di competenza europea.
«Non tutte. E poi anche nelle materie europee resta il problema dell’attuazione da parte dello Stato o delle Regioni. Chi abbia la competenza sull’attuazione, continua a essere una questione rilevante, tanto che la Corte, nel citare le materie comunitarie, non ha detto che non debbono essere devolute alle Regioni, ha detto che il perimetro si è ridotto. La Corte ha lanciato un grido di allarme, indicando la necessità che di fronte alla crisi finanziaria dello Stato si vada verso un regionalismo ispirato ad equità, efficienza e responsabilità. Essendo il regionalismo italiano frutto di una riforma del centrosinistra del 2001 a cui si aggiunge una legge del centrodestra del 2024, dovrebbe esserci un comune senso di responsabilità. La cosa paradossale, invece, è che assistiamo a una polarizzazione molto forte, quando invece servirebbe un sussulto di responsabilità».