Sette anni dopo
Stefano Esposito, Elly Schlein ignora l'ex senatore Pd a cui i giudici hanno rovinato la vita: ecco perché
«Certo che lei non mi ha telefonato; e perché poi Elly Schlein avrebbe dovuto farlo? Nel Pd il garantismo si è ormai estinto, resiste solo in alcuni singoli componenti. Il continuo tentativo di fare un accrocchio politico con M5S ha snaturato il mio vecchio partito, facendogli assorbire il peggio dell’ideologia grillina. Anzi, mi lasci dire: il Pd non esiste più». Parla Stefano Esposito, torinese, ex parlamentare dem accusato per sette anni di corruzione senza aver commesso nulla. Il suo caso è stato archiviato a giugno, ma la notizia è trapelata martedì, ed è diventata subito uno scandalo giudiziario, un dito accusatorio puntato contro certa magistratura inquirente.
Ieri, lo scandalo si è fatto politico-giudiziario. La segretaria del Pd infatti ha taciuto e non ha mostrato la minima solidarietà verso l’ex membro del suo partito. Solitamente, Elly si difende sostenendo di aver preso in mano il timone da poco e di essere stata chiamata proprio per cambiare le cose, frase con cui si autogiustifica per ogni nefandezza dem anteriore al febbraio 2023. Sul caso Esposito però, sarebbe stato bello, per una volta, vederla arrivare. Invece nulla. «Ma questa deriva forcaiola (e pentastellata) è iniziata già con Nicola Zingaretti» chiosa l’ex parlamentare piemontese.
Peggio della Schlein, ha fatto il Pd torinese, secondo il quale la vicenda di Esposito non grida vendetta a Dio ma «è la dimostrazione che i diversi gradi di giudizio della Giustizia hanno funzionato, anche se in tempi lunghi». Non lo pensa la vittima, l’uomo che si definisce «il protagonista di una storia difficile da raccontare senza sembrare pazzo». Per lui, la macchina della giustizia non ha funzionato e si rammarica del fatto di «non poter fare causa e chiedere i danni alle toghe che hanno rovinato la vita a me, a mia moglie, mobbizzata a causa mia al lavoro senza che a nessuno importasse nulla, e ai miei figli». Più che la separazione delle carriere tra giudici e pm, per Esposito servirebbe una legge che costringesse le toghe che sbagliano a pagare di tasca loro, come peraltro chiesero gli italiani in un referendum di tanti anni fa.
Invece, l’uomo che ha sconvolto la sua esistenza, e quella di molti altri politici, indagati e invariabilmente assolti, è ancora al suo posto, con solo un procedimento disciplinare aperto davanti al Consiglio Superiore della Magistratura che però non parte mai. E ora, dopo 2.589 giorni è venuto il tempo di un ritorno in politica? «Mai più, e poi non saprei in quale partito rientrare» risponde Esposito, che era un pezzo grosso della sinistra piemontese, prima dell’inchiesta. Forse troppo; ha dato fastidio a tanti. «Dal giorno successivo all’avviso di garanzia», racconta «sono diventato un fantasma. Il solo a non trattarmi da appestato è stato l’ex presidente della Regione, Enzo Ghigo, di Forza Italia, che non cambiava marciapiede semi incontrava e mi ha invitato a qualche evento».
Dal Pd «che in materia di giustizia è diventato un partito populista», in privato, si sono fatti sentire invece unicamente gli amici: Lorenzo Guerini, Andrea Orlando, Alessia Morani, Matteo Orfini, Emanuele Fiano; stanno sulle dita di una mano. Non è un caso che si tratti di esponenti piuttosto distanti dall’attuale segretaria dem. «Anche Matteo Renzi mi è stato vicino. Quando veniva a Torino, mi chiamava...» ricorda Esposito, che individua l’origine delle sue disgrazie nel fatto di essere stato il maggiore sponsor dell’Alta Velocità Torino-Lione. «Nessuno lo rammenta» spiega, «ma i grillini nascono sul fronte anti-Tav. Il comico è venuto più volte in Val di Susa». E tanti rampolli della Torino bene, anche di quella che ruota intorno al tribunale, erano ferventi no-Tav.
Ma la cosa più inquietante è la sentenza della Corte Costituzionale, che il perseguitato recita a memoria. Esposito infatti ha subito dai pm oltre 500 intercettazioni illegali e contro di esse ha fatto ricorso. “Non spettava all’autorità giudiziaria che ha indagato e rinviato a giudizio fare intercettazioni rivolte a un terzo indagato ma in realtà unicamente preordinate ad accedere alla sfera del parlamentare” affermano i giudici della Consulta, dicendo che i magistrati hanno messo sotto indagine un amico dell’ex parlamentare dem solo per arrivare a lui. «Chiunque fosse oggetto di un simile giudizio, passerebbe guai», commenta Esposito. «Cosa deve pensare un indagato che finisce sotto il mio stesso pm, che è ancora al lavoro nel medesimo ufficio? Che fiducia può avere in lui?».