Il caso

Beppe Grillo, tutto finito: ecco perché non può tenersi il simbolo M5s

Elisa Calessi

Beppe Grillo si era impegnato a evitare qualunque contestazione al Movimento da lui creato, nel caso si fosse deciso di cambiare nome o simbolo. Questo si legge in un documento finora rimasto riservato, ma più volte citato in queste settimane dai due litiganti. A rivelare questa scrittura privata che sembrerebbe dare ragione a Giuseppe Conte è stata l’Adnkronos, ieri, diffondendone il testo. Il comico genovese, a quanto si legge, si impegna a non promuovere «alcuna contestazione» nei confronti del Movimento per quanto riguarda l’uso del nome e del simbolo, anche se in futuro il logo sarà modificato in tutto o in parte». Il documento, scrive l’Adnkronos, è sicuramente successivo al 2021, visto il riferimento alla sede nazionale di Campo Marzio che in quell’anno si stabilì lì. Ma la data precisa è coperta da omissis. Nella scrittura privata si fa riferimento alla “manleva” garantita dal Movimento, che solleva Grillo dalle conseguenze patrimoniali derivanti da eventuali cause giudiziarie. In cambio, il comico genovese è chiamato a prendere una serie di «impegni».

Nel dettaglio, si legge a pagina 14 del documento, Grillo è obbligato «a non formulare in proprio e quale legale rappresentante delle associazioni» M5S del 2009 e del 2012 «alcuna contestazione» nei confronti dell’Associazione Movimento 5 Stelle 2017 (ovvero quella presieduta da Conte) «con riguardo all’utilizzo del nome Movimento 5 Stelle e/o del simbolo» descritto nella premessa, nonché del simbolo «come finora modificato e in futuro modificabile, in tutto o in parte», dal M5S. Una scrittura che, insomma, in caso di guerra legale, sembrerebbe dare ragione a Conte. Ma siamo solo agli inizi. Sempre secondo la scrittura privata, Grillo si impegna anche «a non prestare collaborazione funzionale e/o strutturale ad altre associazioni che hanno quale finalità quella di svolgere attività in contrapposizione e/o concorrenziale» con il Movimento.

 

 

Dunque, Grillo non potrebbe lavorare con un soggetto politiche che nascesse come scissione del M5S. Il punto 6 stabilisce la durata degli impegni presi: sempre. «Il presente contratto», si legge, «è senza termine di durata» e si risolverà solo con lo scioglimento dell'Associazione Movimento 5 Stelle con sede in Roma alla Via di Campo Marzio n. 46. In tal caso, «la manleva sarà efficace solo in relazione ai contenziosi radicati entro 5 anni decorrenti dalla data di scioglimento della medesima» salvi gli effetti «della manleva 2018». Replica l’avvocato Lorenzo Borrè, vicino a Grillo: «L’impegno a non contestare il diritto di utilizzo di nome e simbolo da parte dell’associazione presieduta da Conte conferma che né il nome né il simbolo sono di proprietà del M5S del 2017.

Se il simbolo fosse del Partito di Conte perché riconoscere un corrispettivo per la non contestazione del diritto di utilizzo del contrassegno? E siamo proprio sicuri sicuri che il contratto blinda l’associazione? La prima certezza del diritto, per chi lo pratica, è che non ci sono certezze assolute. La “sorpresa” può sempre essere dietro l’angolo». Polemiche e votazioni. Quanto alle modifiche statutarie, Conte ha spiegato, ieri, che «il risultato» sul quesito relativo all’abolizione del garante «ha sorpreso anche me», ma «è la democrazia, dobbiamo prenderne atto».

E ancora: «I suoi seguaci stanno predicando di non votare, ma se eserciti la clausola che ti conferisce il potere che è fuori dal tempo di ri-votare, non è una contraddizione? Il tutto perché? », ha proseguito il leader pentastellato a proposito della mobilitazione #IoNonVoto lanciata dai supporter di Grillo per far mancare il quorum. «Non puoi dire a tutti gli iscritti di trovarsi un'altra casa. Sei stato rivoluzionario a fare questo processo, ma una volta fatto ti devi render conto che non hai costituito una fondazione familiare, ma un movimento politico che non appartiene a me, a lui, a un terzo, ma agli iscritti».

Per il resto, ha attaccato a testa bassa il Pd sulle ultime scelte europee: «Per me il Pd ha commesso un grave errore politico. Non è il fatto di trovarsi a votare con Meloni e FdI, è un grave errore di prospettiva politica. La Commissione Von der Leyen 2 non è progressismo». Non è un caso che queste parole siano pronunciate proprio nel giorno in cui M5S, Pd e Avs sono insieme in piazza con la Cgil e la Uil per lo sciopero generale. Quasi a voler ricordare che va bene il campo largo, ma non c’è uno che comanda e gli altri a seguire. Uniti, ma distinti. Alleati, ma non succubi.

Ecco, allora, che la vicenda europea è un perfetto gancio per ribadirlo. E per strizzare l’occhiolino a quell’elettorato pacifista e di sinistra che magari non ha apprezzato le ultime mosse in Europa dei dem. «Se vogliamo fare i progressisti dobbiamo farlo a tutto tondo», ha continuato Conte agli Stati generali della ripartenza organizzati a Bologna. E ancora: «La Commissione Von der Leyen 2 oggi significa austerità, non più Next Generation Eu. Parlano solo di transizione militare, non di transizione ecologica». Sempre restando sulla politica estera, ha criticato fortemente la scelta del Parlamento Ue (votata anche da parte della delegazione dem) di censurare la telefonata di Scholz a Putin.