faccia a faccia
Meloni al Quirinale, il retroscena sul pranzo con Mattarella: due punti decisivi
Sergio Mattarella ne ha viste tante, e non sono le tensioni interne alla maggioranza a preoccuparlo. Quando ieri si è saputo che lui e Giorgia Meloni mercoledì avevano pranzato insieme al Quirinale, è stato facile pensare che quell’ora di colloquio, organizzata alla chetichella, senza annunci, fosse una conseguenza dei problemi interni alla coalizione di governo. Poche ore prima, in commissione al Senato, Forza Italia aveva votato insieme all’opposizione per respingere l’emendamento presentato dalla Lega, e appoggiato da Fdi, che avrebbe confermato nel 2025 il taglio al canone Rai. Episodio che la premier non ha apprezzato (eufemismo). Dopo poco, la Lega aveva fatto mancare i voti a un emendamento sulla sanità calabrese proposto dal forzista Claudio Lotito.
Se queste e le altre fibrillazioni avessero spinto Mattarella a convocare un pranzo d’urgenza con la premier, sarebbe stata la conferma che la situazione è ritenuta seria anche sul Colle. Così non è, invece, ed è proprio da lì che spiegano le ragioni di quell’incontro «cordiale e collaborativo», che non ha avuto nulla di urgente o straordinario. Primo: l’appuntamento era fissato da una decina di giorni. Pranzi del genere, raccontano, avvengono almeno una volta al mese, spesso senza che i cronisti se ne accorgano. Fanno parte delle «normali interlocuzioni» tra le due cariche, che è prassi si confrontino al termine di impegni internazionali, anche per commentare i colloqui avuti all’estero. Stavolta c’era Mattarella appena rientrato dalla Cina e Meloni reduce dal vertice G20 in Brasile e dalla visita di Stato in Argentina.
Secondo: sempre da lassù, si apprende che i due hanno parlato anche della sostituzione di Raffaele Fitto, appena diventato vicepresidente esecutivo della Commissione Ue, e della manovra. Sulla quale hanno le stesse idee, almeno in termini di risultato contabile: l’approccio deve restare prudente, sulla linea che il governo ha tenuto finora. La versione del Quirinale collima con quella di palazzo Chigi, dove chi ha parlato con Meloni assicura che il pranzo non era collegato alle «frizioni» all’interno della maggioranza. Di certo, ha fatto notare Mattarella, la scelta del sostituto di Fitto alla guida del ministero per gli Affari europei e il Pnrr non può attendere molto: oggi il neo-commissario parteciperà al suo ultimo consiglio dei ministri, saluterà i colleghi e si dimetterà.
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Meloni ha discusso di questa nomina, oltre che della necessità di lasciarsi le beghe alle spalle e ripartire, anche nei colloqui che ha avuto ieri con i due vicepremier. Non intende girare le deleghe di Fitto ai suoi due sottosegretari, Giovanbattista Fazzolari e Alfredo Mantovano, già sovraccarichi di compiti, né dovrebbe tenere a lungo per sé un eventuale incarico ad interim. Antonio Tajani e Matteo Salvini hanno confermato pubblicamente che non interferiranno nella scelta, trattandosi di una casella in “quota” Fdi. Il nome più accreditato dai rumors è quello di Elisabetta Belloni, direttrice del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza. Quotato anche Edmondo Cirielli, viceministro degli Esteri. Non è questa scelta, comunque, a preoccupare il presidente della repubblica. In cima ai suoi pensieri c’è la nomina dei giudici costituzionali votati dal parlamento. Un anno fa è scaduto il mandato di Silvana Sciarra, e per lei le Camere non hanno ancora trovato un sostituto. Ieri a Montecitorio si è tenuta la decima votazione, con il quorum ormai sceso a tre quinti, e la fumata è stata ancora una volta nera. Nella stessa occasione, per la prima volta, deputati e senatori hanno votato anche per eleggere i successori di altri tre giudici costituzionali, il cui mandato scadrà tra due settimane: l’attuale presidente Augusto Barbera e i vicepresidenti Franco Modugno e Giulio Prosperetti. Nel loro caso il quorum era più alto, pari a due terzi, e il risultato è stato lo stesso: una valanga di schede bianche.
Tirando le somme, tra pochi giorni la Consulta sarà ridotta a undici componenti, anziché quindici, e undici è anche il numero minimo in cui essa può lavorare: se uno di loro dovesse prendersi un’influenza, sarebbe la paralisi. Motivo per cui Mattarella, già da tempo, ha chiesto ai parlamentari di provvedere. «Invito con garbo, ma con determinazione, a eleggere subito questo giudice»: parole che aveva detto a luglio e sono rimaste inascoltate. Concetto che ha ribadito a Meloni durante il pranzo, con l’urgenza dettata dal fatto che presto lì i posti vacanti diventeranno quattro. Il quorum alto rende necessario un accordo tra maggioranza e opposizione, o almeno una parte di essa. Il presidente della Camera, Lorenzo Fontana, ieri ha fatto sapere che convocherà il parlamento in seduta comune una volta a settimana, finché quei giudici non saranno eletti. È anche il modo migliore per far scendere subito il quorum necessario all’elezione dei tre col mandato in scadenza: dal quarto scrutinio, anche per loro saranno sufficienti i tre quinti dei parlamentari. Una soglia comunque alta, ma a quel punto sarà un po’ più facile raggiungere un’intesa bipartisan che potrebbe vedere due giudici indicati dal centrodestra, uno dal Pd e un quarto, magari dal profilo più tecnico, concordato tra avversari.