Regionali

Riccardo Molinari: "Regionali? Voto locale, le riforme vanno avanti"

Fabio Rubini

Riccardo Molinari, capogruppo della Lega alla Camera, analizza la performance della Lega alle Regionali in Umbria ed Emilia Romagna. E lo fa con la consueta schiettezza e lucidità politica.

Onorevole, come giudica i risultati della Lega nelle due regioni perse? Si poteva fare di più?
«Sono due situazioni diverse, che meritano altrettante analisi. In Umbria la Lega ha fatto il suo, anzi ha incrementato di un punto percentuale il risultato delle Europee. In Emilia invece qualcosa non ha funzionato al meglio. Noi siamo un partito radicato al Nord, in quelle terre esprimiamo fior di amministratori, eppure il risultato deve farci riflettere, anche sotto il profilo organizzativo».

 


Ma cosa non ha funzionato nelle due regioni?
«Al netto del risultato finale, quello che emerge è che in Umbria, come centrodestra, siamo stati penalizzati dall’astensionismo. In Emilia la questione è un po’ più complessa. Io ringrazio Elena Ugolini per l’impegno, ma è evidente che la sua lista non ha saputo attrarre voti dal campo del centrosinistra».

A giudicare dal distacco, non sembra aver convinto nemmeno i vostri di elettori...
«C’è un dato che colpisce: c’è un 10% di differenza nell’astensionismo tra l’area “rossa” di Bologna dove la gente è andata a votare e quelle più vicino a noi di Parma e Piacenza. Evidentemente la proposta che abbiamo dato non è stata percepita come competitiva rispetto al centrosinistra».

Basta questo a spiegare la sconfitta?
«C’è un’altra lezione di cui dobbiamo fare tesoro: che impostare la campagna su temi nazionali non ha funzionato. Mi ripeto in Emilia abbiamo tanti bravi amministratori, dovevamo coinvolgerli di più per parlare di temi locali. Le critiche feroci sulla manifestazione di Bologna, ad esempio, non hanno scaldato i nostri elettori. Diciamo che farci trascinare nelle polemiche ideologiche ha fatto solo il gioco della sinistra. Li ha ricompattati. Dobbiamo parlare più di territorio».

Questa tornata di regionali cosa insegna?
«Che un candidato non si può inventare in sei mesi...».

Non sarà anche colpa del “civismo”?
«Non credo. Guardi in Liguria, lì abbiamo preso Bucci che è un candidato civico strutturato, conosciuto e lì, sì, abbiamo vinto perché con la sua lista è riuscito a prendere voti anche di sinistra».

Da un punto di vista politico, di consenso, le due sconfitte vi preoccupano?
«Non dobbiamo fare tragedie. Era un voto locale. E non dimentichiamo che il computo delle Regioni è impietosamente a nostro favore. Detto questo, dobbiamo fare altrettanta attenzione a non sottovalutare quello che è successo. Guai a cadere nella tentazione di autoassolverci. Perché se da un lato è vero che Umbria ed Emilia Romagna sono da sempre regioni rosse, non possiamo dimenticare che, almeno in Umbria, una volta abbiamo vinto».

Subito dopo la doppia sconfitta, gli alleati si sono affannati a dire che nulla cambierà nelle priorità del governo. Lei è tranquillo su questo punto, soprattutto per quel che riguarda l’Autonomia?
«Non credo che il voto in due regioni possa influire sul programma di governo. Sull’Autonomia mi auguro che qualcuno, che ha manifestato pubblicamente perplessità, non usi il voto per rallentarla. Dopo due annidi governo ci troviamo con due riforme su tre (Autonomia e giustizia) ben incardinate. Gli elettori di centrodestra ci hanno votato per cambiare il Paese, non per lasciarlo com’è. Rallentare le riforme, o peggio ancora bloccarle, sarebbe un clamoroso regalo alla sinistra. Ma io sono ottimista».