l'intervista

Tommaso Foti contro Elly Schlein: "Parla a vanvera, dissociazione dalla realtà"

Brunella Bolloli

Guardando solo alla sua Piacenza, Tommaso Foti, capogruppo di Fratelli d’Italia alla Camera, può gioire: dei 9 capoluoghi di provincia emiliano -romagnoli quello piacentino è l’unico in mano al centrodestra, il solo territorio in blu in una roccaforte rossa. In controtendenza anche in termini di liste: Fdi ha preso il 37,6%, la candidata Elena Ugolini ha battuto lo sfidante dem e, insomma, «di più a Piacenza non potevamo fare», assicura il meloniano.

Guardiamo però al risultato complessivo: in Emilia Romagna e in Umbria il centrodestra ha poco da festeggiare. Cosa non ha funzionato?
«Secondo me abbiamo sbagliato a dare per scontate alcune cose, ad esempio la probabile sconfitta in Emilia Romagna...».

Non dica che speravate in una vittoria proprio lì?
«Voglio dire che bisogna osservare con pazienza i dati, rispetto alle precedenti elezioni Fdi ha ottenuto un grande successo: cinque anni fa eravamo all’8,59% adesso siamo al 23,83. Ecco perché l’Emilia Romagna può diventare un laboratorio».

È sembrato, però, che i partiti del centrodestra candidando una civica non abbiano voluto metterci la faccia. È così?
«Oggettivamente, se si vuole allargare l’area del centrodestra non puoi mettere uno di partito perché se no quell’area la restringi, la chiudi. La nostra candidata era valida, capace e poteva intercettare molto di più di quello che ha intercettato. Dopodiché, forse il finale di campagna elettorale, che la sinistra ha cavalcato, ha indubbiamente mosso una reazione che non aveva ragion d’essere».

Si riferisce alle polemiche sul corteo di CasaPound?
«Sì. Tutta questa vicenda se la sono suonata tra loro. Ma la narrazione che fosse stato il governo a mandare queste 300 camicie nere a Bologna ha attecchito in un’opinione pubblica molto sensibile su questi temi. E deve essere un monito perché la polemica, in Emilia Romagna, su certe vicende fa molto più gioco al centrosinistra che al centrodestra». Anche lo scontro sull’alluvione ha portato meglio agli altri? «Il problema è molto semplice: alla fine a un alluvionato interessa poco vedere due fronti che battibeccano. E pure in questa circostanza è stata recepita più la verità della sinistra che attaccava il governo, mentre certe responsabilità sono in capo alle regioni, non all’esecutivo».

In Umbria ci speravate. Dove avete sbagliato?
«Intanto Fdi è cresciuta anche in Umbria, altra regione con una tradizione “rossa”. Poi io penso che quando si arriva a due o tre punti di distacco c’è poco da analizzare, sono più preoccupato dall’astensionismo e sono convinto che queste Regionali a spizzichi e bocconi non aiutino a mobilitare i cittadini. Spesso sono più determinanti le curve che le tribune».

Tradotto: bisognava accorpare le regionali, votare insieme alla Liguria?
«Avrebbe avuto un altro significato. Ricordo che l’astensione è un campanello d’allarme. E noi dobbiamo fare tesoro di quello che dicono gli elettori, nel bene e nel male». Elly Schlein ha dichiarato che “la destra è stata sconfitta peri tagli alla sanità”.

Cosa risponde?
«Elly Schlein sulla sanità parla tanto e possibilmente a vanvera. Se avessimo dovuto seguire il piano della sanità di Speranza, oggi avremmo molte meno risorse di quelle stanziate dal governo Meloni. Quando poi propone le coperture per la sanità con il taglio dei sussidi ambientalmente dannosi siamo a un caso di dissociazione dalla realtà: Giano bifronte al suo cospetto è un dilettante allo sbaraglio».

Nel 2025 si vota in altre regioni cruciali e il centrodestra è già alle prese con il nodo dei candidati. Come risolverete?
«Guardi, dall’inizio del governo Meloni siamo a 11 a 3 in termini di vittorie. I rapporti tra alleati non sono in discussione, c’è sempre stato un principio di vasi comunicanti nel centrodestra per cui una volta sale uno, una volta sale un altro. Il prossimo anno ci aspettano partite importanti per questo bisogna presentarsi bene allenati. L’allenatore saprà scegliere la miglior formazione possibile».