L'intervista
Matteo Renzi sulla vittoria di Trump: "Gli Usa puniscono la sinistra dei vip lontana dalla gente"
«Non basta essere contro, serve una leadership». E non basta affidarsi «alla sinistra delle celebrities» che parla «solo di diritti e al massimo di sussidi per i poveri», ma non sa «la fatica di mettere da parte i soldi dell’affitto». Matteo Renzi, leader di Italia Viva, martedì notte è stato tra i primi a congratularsi con Donald Trump.
Perché ha scritto quel post?
«Perché se critichi Trump quando non riconosce il risultato se perde e anzi aizza le folle come accaduto il 6 gennaio del 2021 devi essere credibile ed essere il primo a riconoscere il risultato quando Trump vince. La democrazia va difesa sia quando vinci sia quando perdi».
Per settimane si era parlato di un testa a testa nelle elezioni americane, invece Donald Trump ha stravinto. Cosa non si è capito?
«Non getterei la croce addosso ai sondaggisti. La partita è stata equilibrata fino alla fine. Poi ha prevalso nettamente Trump perché ha saputo interpretare meglio la parte finale della campagna elettorale».
È la vittoria di Trump ma è anche (o soprattutto) la sconfitta del Partito democratico. C’è una lezione per Elly Schlein?
«È la vittoria di Trump. Gli exit poll della CNN mostravano questo in modo chiaro: chi votava Trump, votava per la sua leadership. Chi votava Harris, votava lei contro Trump. Non basta essere contro, serve una leadership. Ma questo la sinistra italiana lo ha imparato a proprie spese dall’esperienza di Silvio Berlusconi».
Come in Italia, anche negli USA la sinistra vince nelle città, nelle coste, ma in mezzo, nelle campagne, è travolta. Perché?
«Bisogna parlare di più di lavoro, ceto medio, sicurezza. Altrimenti noi ci riempiamo la bocca coni diritti e gli altri vincono con la paura. Solo con Clinton e Blair- negli ultimi anni - la sinistra mondiale ha saputo parlare alla gente, nel profondo. E solo con Obama ha saputo giocare la carta della speranza. Quando affidiamo la narrazione della campagna elettorale ai vip, pensando di convincere il nostro popolo a votarci, non ci rendiamo conto che stiamo facendo l’opposto: quando si tratta della vita di tutti i giorni penso che il vip sia un privilegiato che non sappia la fatica di mettere da parte i soldi dell’affitto. Invece la sinistra delle celebrities parla solo di diritti e al massimo di sussidi per i poveri. Ma serve il lavoro pagato bene, non il sussidio che ti lascia nella povertà».
Lei si è schierato per il ritiro di Joe Biden. Alla luce dei risultati, sarebbe andato meglio Biden?
«No. Sarebbe andato peggio. Joe ha fatto del suo meglio e molti risultati della sua presidenza sono notevoli. Ma doveva lasciare prima di quel disastroso dibattito televisivo di giugno. Bisognava fare le primarie. E sarebbe uscito il candidato migliore per battere Trump. Che non era Kamala Harris».
Dove ha sbagliato Harris?
«È stata una presenza impalpabile nei quattro anni alla Casa Bianca. In campagna elettorale è stata brava a unire i leader del partito sudi lei, ma lì si è fermata. Il vero candidato forte era il governatore della Pennsylvania Shapiro. Ma non lo hanno voluto nemmeno come vice, per la sua origine ebrea. Una follia. Con Shapiro i democratici avrebbero vinto gli swing states della Rust Belt, io ne sono convinto».
Trump ha vinto promettendo la chiusura di confini e meno tasse. C’è qualcosa, su questo, che la sinistra italiana deve imparare?
«Sull’immigrazione Trump vince con la paura perché impone la retorica di Kamala Harris che non gestisce i confini. Più che le tasse il tema è stato quanto ha fatto male l’inflazione al ceto medio. Mi hanno preso in giro perché Italia Viva ha copiato una grafica dei repubblicani facendo vedere l’aumento del costo dei prodotti contestando dunque il Governo Meloni - esattamente come ha fatto Trump con Biden. La verità è che il messaggio di Trump più efficace è stato: state meglio o peggio di quattro anni fa? La sinistra dovrebbe attaccare la Meloni su questo».
In questo voto c’è anche una rivolta contro il politicamente corretto, la cosiddetta cultura woke. Che ne pensa?
«Musk nella sua visionaria follia è stato decisivo nell’imporre questo tema. E JD Vance sul tema dell’identità culturale si è giocato un pezzo della sfida elettorale. Come pure sul voto del mondo cattolico. Il fatto che Kamala Harris sia stata la prima candidata dal 1984 a non partecipare alla cena dell’arcidiocesi di New York, l’Al Smith dinner, è stato un fatto simbolico. Il voto cattolico aveva premiato Biden nel 2020 e ha punito Harris nel 2024».
Il campo largo è diviso anche su questo voto: il M5S festeggia, il Pd si dispera. Che ne pensa?
«Il M5S - come pure AVS dice che Harris ha perso per la posizione sulla guerra. Io trovo questa lettura di una pochezza sconcertante. Gli americani votano con il portafoglio, non pensano alla politica estera. Sostenere che la sinistra americana perda per Gaza significa non avere la minima idea di come funziona la corsa per la Casa Bianca. A Pittsburgh Kamala ha perso per gli stipendi, non per Hamas: un giorno lo capirà anche Conte».
Anche a destra le reazioni sono state diverse: Salvini e Conte hanno abbracciato Trump, Meloni è stata più prudente. Si aspetta un ritorno di fiamma dei “gialloverdi”?
«Per come conosco la presidente Meloni sono assolutamente certo che sarà la prima a giovarsi della vittoria di Trump. Giorgia ha una capacità empatica di relazione che le viene riconosciuta dai leader di mezzo mondo. Poi non riesce a fare le riforme e si impunta su provvedimenti assurdi come lo spreco di soldi in Albania o le misure populiste in Italia. Ma il rapporto con Trump lo terrà Meloni, non Salvini e Conte. Conte farà la stampella, come ha già fatto nei primi due anni a cominciare dalla Rai».
Cosa cambia per l’Europa?
«L’Europa deve darsi una svegliata. A cominciare dalla spesa militare. Sui dazi spero che ci siano leader capaci di trattare da pari a pari con Trump e salvare il vino, il cibo, l’impresa italiana».
Martedì notte sul palco, accanto a Trump, c'era anche il genero Jared Kushner, che è anche un suo amico, ed è stato fautore degli accordi di Abramo. La vittoria di Trump potrebbe accelerare la pace in Medioriente?
«Non so se Jared tornerà alla Casa Bianca o resterà concentrato sul business. Ma sicuramente la fine dell’incertezza sul nome dell’inquilino alla Casa Bianca è un acceleratore per la pace. Gli accordi di Abramo devono andare avanti e penso che sia necessario lavorare a un accordo di pace serio e giusto in Ucraina. Trump è imprevedibile, speriamo che stavolta ci sorprenda in positivo».