L'ora della paura

Trump, è panico tra la sinistra italiana: democrazia salva solo se vince Kamala

La sinistra è già nel panico. È impressionante la naturalezza con cui politici, commentatori e analisti senza fare un plissé - ci comunicano, alla vigilia delle elezioni presidenziali americane, non solo la loro legittima preferenza verso la candidata democratica Kamala Harris, ma una specie di cupa preoccupazione per la democrazia in caso di esito opposto, cioè nell’ipotesi di un’eventuale vittoria di Donald Trump.

E così il discorso assume una connotazione schizofrenica oltre che una piega irresistibilmente comica. Se a vincere è la candidata “gradita”, allora vuol dire che la democrazia funziona perfettamente, che il sistema mostra di possedere gli anticorpi contro tutti i virus, che il popolo è saggio. Se invece a prevalere fosse il candidato “sgradito”, la democrazia mostrerebbe la sua fragilità, la stessa architettura istituzionale Usa si rivelerebbe inadeguata, e il popolo non c’è neanche bisogno di dirlo una massa di “deplorables”, anzi direttamente “garbage”, cioè immondizia.

Se volete farvi due risate, seguite su X il profilo di Alan Friedman. Nelle pause delle sue non fortunatissime gare di ballo, ci comunica i suoi sbalzi di umore, con un repentino transito da una luminosa fiducia nell’umanità a un tetro clima da de profundis. C’è un sondaggio buono per Kamala? E allora “c’è un po’ di speranza per l’America e per il mondo”, oppure “sarebbe meraviglioso se l’America tornasse ad amare la democrazia”. Che invece- intuiamo- sarebbe calpestata con gli scarponi chiodati se gli elettori premiassero Trump. E infatti, quando è in vantaggio lui, “siamo al crepuscolo del secolo americano”. Stessa musica da parte del direttore della Stampa Andrea Malaguti: «All’improvviso la democrazia mette paura». Ah sì? Quindi è l’esito del voto a dirci se il metodo democratico è benedetto o invece maledetto? (...)

 

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