Elogio alle imprese italiane

Sergio Mattarella, adesso il Colle zittisce i gufi: cresciamo più di Parigi e Berlino

Fausto Carioti

Prendere il Luigi Einaudi che tanto fece per difendere il ruolo degli imprenditori e di chi lavora per loro. Come quando, nel 1928, scrisse che «vero dominatore del mondo economico non è colui che fornisce la materia bruta “capitale”, ma è l’uomo. L’uomo intelligente, che sa ed agisce; dall’amministratore delegato ai direttori, ai tecnici, agli operai». Poi prendere il Sergio Mattarella di ieri, che elenca i primati dell’economia italiana e spiega che «il merito è delle imprese, dei capitani d’impresa, dei loro collaboratori, insieme alle lavoratici e ai lavoratori che in esse operano». E scoprire che il giurista palermitano proveniente dall’Azione cattolica su questi temi parla come l’economista piemontese suo predecessore, padre dei liberisti italiani. C’è continuità al Quirinale, anche tra figli di mondi così diversi. L’occasione si presta: è la cerimonia di consegna delle insegne ai Cavalieri del lavoro nominati dal Capo dello Stato. Nel salone dei corazzieri, davanti a lui, ci sono Marina Berlusconi e altri ventiquattro, premiati assieme ad altrettanti studenti d’eccellenza, Alfieri del lavoro. L’evento giusto per spiegare (anche a quella sinistra che ancora non ci arriva) che la libera impresa non è un ostacolo al progresso della società, ma ciò che lo rende possibile. Mattarella lo fa con parole chiarissime. Esprime ai Cavalieri la riconoscenza della repubblica, perché «generare ricchezza è funzione sociale». (...)

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