Dopo il tonfo

Andrea Orlando, trattativa col Pd: scranno in Parlamento o restare in Liguria

Pietro Senaldi

«Andrea si è perso, si è perso, e non sa tornare...» cantava l’illustre ligure, Fabrizio De Andrè? Andrea Orlando ha perso, e non sa se ritornare. Per qualche giorno, l’omonimo del cavaliere di Ludovico Ariosto porterà la maschera di un altro eroe tragico, lo shakespiriano Amleto: “È più decoroso per l’anima tollerare i colpi dell’ingiusta fortuna o impugnare le armi contro un mare di dolori e, affrontandoli, finirli?”. Questo il rovello del candidato della sinistra alla presidenza della Liguria sconfitto da Marco Bucci per ottomila voti. Tornare con le pive nel sacco agli agi del Parlamento romano con le stimmate del perdente o rimanere in Consiglio Regionale per guidare l’opposizione e preparare la sfida per il Comune di Genova, dove si voterà la prossima primavera?

La scelta più facile è anche la più dura da sostenere nel tempo. È vero che nel Pd nessuno dà al tre volte ministro la colpa della sconfitta, sapendo che sul territorio ha fatto il suo il fronte. Le responsabilità maggiori sono attribuite alla segretaria, che ha dimostrato carenze di visione e leadership, sopravvalutando l’apporto di M5S e sottovalutando gli effetti della rottura con Italia Viva. Però, alla fine la faccia sul ko è quella di Orlando e la politica non ha pietà per i vinti. E poi, una fuga da Genova confermerebbe quella che è stata in campagna elettorale la critica più maliziosa al candidato, ovverosia di non avere a cuore il proprio territorio.

 



SENTIERO TORTUOSO
L’altra opzione è la traversata nel deserto. Rimanere nel luogo della grande delusione, ma trovando la forza per ripartire, quasi come 35 anni fa, quando tutto ebbe inizio, nel consiglio comunale di La Spezia. $ di questo che si discuteva in Parlamento ieri tra i dem. A Orlando il partito chiederebbe un secondo sacrificio. Dovrebbe ricompattare la sinistra ligure, provare a riagganciare quelli di Italia Viva, con i quali, malgrado qualche rapporto personale non ottimale, aveva trovato un accordo prima che Elly Schlein, cedendo al ricatto di Giuseppe Conte, gli disfasse la tela. L’obiettivo è preparare la riconquista di Genova, partendo dai ventimila voti presi in città più di Bucci. L’ipotesi di farlo attraverso una candidatura diretta di Orlando è sul tavolo, ma non è la più probabile.

Sia perché nella città della Lanterna l’uomo non è di casa e un capoluogo è sempre campanilista quando sceglie chi deve guidarlo, sia perché sarebbe irrituale e dal sapore ansiolitico, per candidato e partito, che darebbero entrambi l’idea di non avere altre opzioni valide. Orlando dovrebbe individuare e convincere un candidato civico, da opporre probabilmente a Pietro Piciocchi, il vicesindaco di Bucci dalle venti deleghe che presto diventerà il facente funzioni e già sente come un dovere civico presentarsi. Così vogliono i notabili in città. L’alternativa potrebbe essere Armando Sanna, già sindaco di Sant’Olcese, il più votato in Regione tra gli eletti. Bella matassa da sbrogliare, un sentiero tortuoso al termine del quale il nostro troverebbe come premio la candidatura per la sesta legislatura consecutiva al Parlamento. Promesse da politici, quindi un po’ da marinai, ma i dem aumenteranno sensibilmente i parlamentari al prossimo giro, visto il disastro di Enrico Letta nel 2022 (19%), e poi un leader si gioca troppo a non rispettare certi impegni.

“Amleto” ci sta pensando, anche perché la sua ricandidatura nel 2027 al Parlamento in caso di ritorno oggi da perdente non è scontata, visti i rapporti con Schlein. Se accetterà, non sarà facile per lui. In Regione nel Pd hanno vinto gli uomini legati a Claudio Burlando, un mezzo nemico interno di Orlando, che avrebbe però l’appoggio del segretario della Liguria, lo spezzino Davide Natale, e di quello di Genova, Simone D’Angelo, con il quale ha stretto molto i rapporti in campagna elettorale.

SULL’ALTRO FRONTE
Altra partita si gioca Marco Bucci, che sta già lavorando alla sua giunta e incontrerà i partiti dopo il fine settimana festivo per confrontarsi sui venti nomi che ha in testa. Gli assessori saranno sette e quello sul quale il presidente non sembra disposto a mediare è l’uomo per la Sanità, individuata come la priorità, insieme alle opere pubbliche. Serve un manager, perché bisogna organizzare lo smaltimento del 100% delle liste d’attesa e costruire cinque ospedali. Pare che Bucci si fidi ciecamente di Luciano Grasso, manager con importanti incarichi già incluso nella squadra del Ponte e che il presidente ha candidato nella sua lista, dove però ha raccolto pochi voti. Continua l’odissea intanto di Giovanni Toti. La Procura ieri non ha approvato la proposta dell’ex governatore di scontare la pena ai servizi sociali in un parco perché «non prevede anche lavori manuali» e il presidente dell’ente è stato nominato dalla Regione. Se ne riparlerà il 18 dicembre, quando l’ex governatore presenterà un’alternativa.