Ministro della Cultura
Alessandro Giuli, il mandato a ostacoli dell'erede di Sangiuliano: la tempesta è iniziata il 6 settembre
«Sopire, troncare. Troncare sopire». È dai Promessi Sposi che forse, possiamo ricavare la missione raccolta da Alessandro Giuli dopo che, il sei settembre scorso, aveva giurato al Quirinale da Ministro della Cultura del governo Meloni. Ereditando un timone diventato rumoroso e incandescente, per via del caso Sangiuliano-Boccia che era costato le dimissioni al suo predecessore, proprio alla vigilia del G7 della cultura a Napoli la cui organizzazione era finito nel tritacarne delle polemiche, degli scontri e dei “non detto” sul ruolo della quasi-consulente del Collegio Romano.
Quindi, da subito, all’arrivo al timone del ministero, Giuli aveva sin da subito mostrato una certa discontinuità con Sangiuliano. Innanzitutto nessun margine ai cronisti che provano a strappargli per strada, fuori dalle occasioni ufficiali, qualche dichiarazione. È sempre un «buon lavoro, ma oggi non parlo», elegantemente respingendo l’istanza al mittente. E rimandando, appunto, alle scansioni dell’agenda il momento per parlare. E proprio in una di queste, il suo primissimo question time alla Camera, ha dato il là alla prima iniziativa, cioè la modifica della Commissione ministeriale per la concessione dei fondi ai progetti cinematografici. «Non mi sento affatto offeso dalle scelte dall’ex ministro Sangiuliano», disse. Tuttavia «la commissione di cui parliamo è oggetto in queste ore di una mia attenta verifica e revisione». In quell’eloquio morbido e mai sopra le righe che lo connotò, da giornalista, anche dai commenti televisivi. E in cui, poi, ha messo l’iniezione dei libri letti.
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È il caso dell’illustrazione delle linee guida della sua attività alle Commissioni competenti di Camera e Senato, in cui sfoderò l’ormai mitologica «ontologia intonata alla rivoluzione permanente dell’infosfera globale». Che lo ha proiettato nell’empireo del viralismo social. Creando un po’ un bipolarismo del pensiero elaborato. I detrattori dicono fosse una supercazzola (Renzi, in un question time al Senato cui il ministro ha risposto perentorio: «Adeguerò l’eloquio alle sue capacità cognitive»). I sostenitori, invece, propendono perla provocazione al fine di irridere l’opposto campo, quello dei radicalchic. A Francoforte, Buchmesse, una sorta di bis, quello sul «pensiero solare». È di Albert Camus, dirà lui stesso incalzato dalle Iene per il caso Spano (ci torneremo).
Alla fine, anche lui ha condiviso il destino del predecessore come di qualunque intellettuale di destra che osi intrecciarsi con le istituzioni: un assedio costante e martellante della sinistra politica, giornalistica, culturale.
Gli hanno rimesso sul tavolo il passato nel gruppo estremista Meridiano Zero (inizio degli anni ’90), dal diretto interessato mai rinnegato ma su cui ha rivendicato di aver scavato un solco netto attraverso le letture, le età e le esperienze. I collettivi universitari lo tampinano persino quando osa sostenere l’ultimo esame che gli manca, a La Sapienza, per laurearsi in filosofia. Insomma, l’artiglieria ideologica non è mancata, in questo primo mese. Tuttavia ne ha ammortizzato i colpi, anche bene.
A Francoforte, dove il cammino italiano verso la Buchmesse, in cui è Paese ospite d’onore, era stato accompagnato da strali di molti autori di sinistra lasciati fuori (per scelta delle case editrici) dalle delegazioni, la sua prolusione è passata tutto sommato indenne («pensiero solare» a parte). Alla Festa del Cinema di Roma salta la premiere del film su Enrico Berlinguer ma non manca a quella del documentario su Liliana Segre. Con la senatrice a vita, le foto e le immagini offrono prove documentali di grande cordialità. Gli ultimi giorni hanno offerto questo caso del Capo di Gabinetto. Non conferma nel ruolo Francesco Gilioli,che lo aveva con la gestione Sangiuliano. Nomina Francesco Spano, sollevando le ire di Pro Vita e di una parte di Fratelli d’Italia per via di una vecchia storia di finanziamenti, riconosciuti quando era all’Unar, a un’associazione Lgbt che promuoveva incontri sessuali a pagamento. Spano poi si dimette, dopo il tam tam sulla prima puntata di Report che potrebbe riguardarlo.
Giuli denuncia il «barbarico clima di mostrificazione» e poi viene ricevuto per mezz’ora da Alfredo Mantovano a Palazzo Chigi. Per sopire (le polemiche) c’è ancora tempo.