La Cultura sotto processo

Inquisizione progressista sulla destra al governo

Annalisa Terranova

Il nemico ti ascolta. È proprio il caso di rispolverare l’imbarazzante motto del Ventennio a proposito delle censure vecchie e nuove cui la neo-Resistenza lessicale sottopone ogni frase, discorso, bisbiglio, battuta, intervista della destra a guida meloniana. Non solo. Può darsi anche che l’inquisizione progressista bocci in toto un discorso intero, come accaduto con Alessandro Giuli che, da non laureato, era indegno di fare il ministro. Da quasi laureato infastidisce i gruppettari di Cambiare rotta. E da successore di Sangiuliano va demolito perché come Vendola. Insomma rimettiamoci Franceschini e la cultura tornerà a volare alto.

Intanto però concediamoci un diversivo. Mettiamo a confronto due frasi. La prima: «Il risentimento e il rancore a destra? I filosofi moderni le chiamano passioni tristi». La seconda: «Siamo dunque precipitati nell’epoca delle passioni tristi? No. Fare cultura è pensare sempre da capo». Le passioni tristi ci stanno in mezzo, ma la prima frase l’ha detta Nadia Urbinati (intervistata da Repubblica) e dunque va benissimo, la seconda l’ha detta Giuli e dunque va malissimo.

 

 

È una supercazzola. Era una citazione da Spinoza, ma vabbè. Altro diversivo. Non molto tempo fa Sergio Mattarella ha elogiato gli chef che aiutano la diplomazia rendendo più accoglienti gli incontri tra capi di Stato. Non vi ricorda nulla? A noi ricorda le risate di scherno che accolsero una frase del ministro Francesco Lollobrigida: «Quanto è importante stare a tavola, discutere, ragionare, bere un bicchiere di vino, dialogare...

Quante guerre non ci sarebbero state di fronte a cene ben organizzate». Capito come funziona? Se citi Michael Jackson come tuo maestro di inglese sei la “fascia della Garbatella” come Paolo Virzì comanda ma non ti azzardare a nominare Giuseppe Prezzolini, noto sanguinario secondo Michela Ponzani. Una «sciocchezza», l’ha redarguita Adriano Sofri che ricorda alla storica che il povero Prezzolini fu pure fautore del voto alle donne. Insomma più femminista che sanguinario. Il nemico però ascolta, sottolinea, usa l’evidenziatore etico della nuova enciclopedia del politicamente conforme. Non si salva nessuno. Colti, incolti e sproloquiatori a vanvera (che pure non mancano...). Basta una sillaba e scatta il semaforo rosso. Il ministro Valditara parla di «grigio egualitarismo»?

Semplice. Vuole riportarci al feudalesimo, al medioevo, ai secoli bui, al sonno della ragione. Tommaso Foti, capogruppo FdI, azzarda la citazione urticante di Marinetti: «Ritti sulla cima del mondo, noi scagliamo, una volta ancora, la nostra sfida alle stelle!». Paolo Berizzi sente subito puzza di fascismo e sentenzia: eccoli, i soliti “fratelli di nostalgia”. Berizzi ha vergato una sorta di malleus maleficarum anti-Meloni con esempi di diaboliche nefandezze del mondo nostalgico della destra, da cui scopriamo che anche un battesimo può essere rigurgito fascista se chiama la neonata “piccola balilla”. In copertina saluti romani, ma fatti col braccio sinistro. Quisquilie.

Quando Giorgia Meloni sorvola sui cantanti pop e cita Ernest Renan si inalbera Nicola Fratoianni, docente in tuttologia, che ci vede uno scandaloso riferimento alla supremazia ariana. Ma come – gli risponde Alessandro Campi- Renan veramente «è passato alla storia del pensiero politico per aver spiegato che la nazione non si fonda sulla razza e i vincoli di sangue. Bensì sulla volontà politica: un popolo è una nazione solo se vuole esserlo». Niente da fare, il “caso Renan” riporta alla memoria analoga polemica sulla triade “Dio Patria Famiglia”. Di origine mazziniana ma, nella vulgata della neo-Resistenza lessicale, trittico di chiara marca fascista che indicherebbe una vita di me..a secondo l’illuminata scuola Cirinnà.

E persino il nome del partito di Giorgia Meloni, Fratelli d’Italia, ha in sé germi di pericolose derive. Quella patriarcale innanzittuto. «Perché non menziona le sorelle?», si chiede Natalia Aspesi scandalizzata. Ma mica basta. C’è anche, in nuce, la deriva razzista. Celo spiega il professor Montanari. L’inno di Mameli, scrive, è centrato sul «nesso essenziale tra nazione, sangue e guerra». E poi c’è quel «Dell’elmo di Scipio s’è cinta la testa». Insomma Scipione che batte Cartagine “è immagine della eterna lotta degli italiani contro gli stranieri (gli africani, nella fattispecie)”. Montanari è inarrestabile. Lui boccia anche il termine “marocchinate”. Espressione di spirito coloniale e anch’esso razzista. Eppure... un titolo del genere, “marocchinate” appunto, lo ritroviamo nel catalogo della casa editrice Sensibili alle foglie, fondata dal brigatista Renato Curcio. Razzista pure lui?

Il nemico è infaticabile nel tendere l’orecchio sospettoso. Il ministro Piantedosi dice che la donna deve essere libera di uscire in minigonna la sera? Ecco farsi avanti Chiara Valerio che lo sistema a dovere: «Ma pensate all’adolescenza di Piantedosi – commenta – che non ha mai visto una donna con la minigonna, quindi evidentemente c’è anche un certo disagio giovanile di un certo tipo di persone». È finito alla gogna anche il sociologo Luca Ricolfi, reo di avere condannato la cosiddetta “identity politics”. Un complesso di teorie – scrisse su Repubblica- filosofie, rivendicazioni, secondo cui quel che conta veramente non è che persona sei ma a quale minoranza oppressa appartieni. Da qui derivano le idee più strampalate, ad esempio che per tradurre un romanzo di una autrice nera tu debba essere nera (è successo).

Che per parlare di donne tu debba essere donna; per parlare di omosessualità essere omosessuale; per parlare dell’Islam essere islamico; per parlare dell’Africa essere africano. Se osi parlare di qualcosa senza essere la cosa stessa sei accusato di «appropriazione culturale». È così, per Ricolfi, che si compie la parabola della cultura liberal e progressista: anziché sconfiggere le discriminazioni con l’eguaglianza, si capovolge nel suo contrario: instaurare l’eguaglianza attraverso le discriminazioni.

Non la prese bene Michela Murgia che lo fulminò così: «Leggo Ricolfi su Repubblica e non posso fare a meno di pensare che il clitoride ha 8000 terminazioni nervose, ma ancora non è sensibile quanto un editorialista italiano maschio bianco eterosessuale quando sente minacciato il suo privilegio». Perché, se è il nemico che ti ascolta a sentirsi minacciato allora il gioco si fa duro. Occorre difendere con energica ortodossia la tesi secondo cui la cultura di destra non esiste. Lo ha detto Guccini, e anche Scanzi. E non si sa se il primo ha copiato il secondo o viceversa.