Grandi salti
Beppe Sala, il vero piano: la scalata per conquistare il centrosinistra
Se non fosse il prossimo presidente Anci - l’associazione dei sindaci italiani - lanciato verso Palazzo Chigi ai tempi lividi del Pd, il Beppe Sala sarebbe un Talleyrand ai tempi di Bonaparte. Sala d’attesa. Sala federatore del centrosinistra, Sala la “terza gamba” del partito (anche se non si capisce di preciso quali siano le altre due), Sala presidente del Consiglio: si spandono, in questi giorni, nella politica milanese, suggestioni tra il realismo politico e il realismo magico. La prima suggestione si è avuta quando lunedì scorso, durante le commemorazione della strage del 7 ottobre nella sinagoga della città. Lì il sindaco Sala, sul filo di un discorso scritto, monocorde, ha avuto un unico sussulto, parlando a braccio sul dovere dell’uomo politico, «che sia sindaco o presidente del Consiglio...». E lì per un attimo, solo per un attimo - all’audace accostamento dei due sostantivi, «sindaco» e «presidente del Consiglio», be’, gli si sono brillati gli occhi. La seconda suggestione risale a ieri, quando con candore strategico, il Beppe ha buttato lì: «Penso che Mario Calabresi sia una delle persone di livello che possono iniziare a riscuotere interesse», indicando l’ex direttore di Repubblica come candidabile sindaco del centrosinistra a Milano. «Non so se è una sua volontà. La mia preferenza è fare un po’ di scouting e capire se ci sono dei profili civici» ha specificato Sala, alla ricerca d’un successore immaginario.
DUE SCUOLE DI PENSIERO
E lì si sono subito profilate due scuole di pensiero: «Eccolo, il Sala, che lo nomina tre anni prima, e brucia il candidabile Calabresi», oppure «eccolo, il Sala, che già comincia a fare il king maker del centrosinistra, pronto a sostituirsi alla Schlein quando si tratterà di battersela per Palazzo Chigi...». Naturalmente la reazione del “papabile” Calabresi è stata immediata: «Sono molto onorato delle stima del sindaco Sala, ma sono molto felice del lavoro che faccio (il direttore di Chora Media, azienda di podcast, ndr)». Mentre la reazione del Pd milanese, incazzatissimo, è stata unanime: «Sala guarda la società civile. Ma sono 13 anni che ad ogni elezione siamo i primi a Milano, ora sceglieremo un candidato politico»). Ed ecco il Pd meneghino trasformare una giornata torpida in un rombo di tuono.
Eppure, dal milieu milanese della Ztl, dal clangore d’intelletti entro la cerchia dei Navigli, ecco levarsi l’idea del Sala federatore «di una lista che raggruppi il mondo moderato e riformista, una tela politica in tessitura» si lascia scappare Repubblica. Meglio ancora: ecco profilarsi l’avanzata della solita, ennesima reincarnazione di Prodi. «Un supporto liberale di centro ci vuol per il centrosinistra», sentenza Goffredo Bettini (prima pensava a Rutelli). Ma Sala, legittimamente, pensa addirittura più in grande. Nel marzo scorso, rivendicando la sua indipendenza amministrativa dal Pd, il sindaco aveva affermato: «È troppo difficile federare il centrosinistra e il campo largo a oggi fa fatica a esistere nel centrosinistra. Alla fine la differenza col centrodestra è che hanno Forza Italia, anche se non pesa tantissimo, ne garantisce una tenuta sulla parte moderata, cosa che in questo momento manca a noi. I conti sono presto fatti». Il Beppe è uomo pratico e astuto, ogni espressione non è mai più tombale del necessario. E in quel mentre (già avvenne nel 2019, all’assegnazione delle Olimpiadi invernali) si profilò l’idea di una “rivoluzione milanese”. Ossia quella della buona «gestione della città dai trasporti ai rifiuti», intrecciata nel vagheggiamento della Milano da bere di craxiana memoria; e pronta per fare da modello ad un centrosinistra ri-coalizzato e ricollocato in un alveo moderato e, soprattutto di governo.
ROBE “ALLA PRODI”
Alla Prodi, ma senza la parte delle terrazze romane. Tenendo pure conto che, di Sala, i milanesi ricordano con nostalgia il decisionismo da “City manager” implacabile della Moratti e di commissario Expo che mise su in tre mesi il più grande spettacolo del mondo. Questo prima di finire ostaggio delle lobby dei diritti civili, dei centri sociali, dei talebani delle ciclabili e dell’Area B. Eppure ci fu un tempo in cui il Sala era il miglior uomo di destra in circolazione, e per questo venne arruolato a sinistra. Dopodiché, i risultati sono sotto gli occhi di tutti. Sala a Palazzo Chigi. Fata Morgana che distorce la percezione stessa della sinistra. Certo, si dirà: nessuno degli indimenticati amministratori locali milanesi, è uscito dalla cerchia dei Navigli come dai confini tibetani di Shangri-La, ed è mai sopravvissuto alla politica romana. Albertini, Moratti, Pisapia sono scivolati nelle pieghe delle potere centrale, sempre più verso l’Europarlamento, ai confini dell’impero. Certo, si dirà: i candidati federatori da quella parte delle barricata – da Gentiloni a Castagnetti da Renzi a Gori a Andreatta- sono rimasti tali solo sulla carta. Ma Sala, oh Sala...Una storia finanche affascinante, a raccontarla.
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