L'agguato virtule
Giorgia Meloni e il video a luci rosse manipolato: "Intollerabile, è violenza contro le donne"
Una "intollerabile" violenza contro le donne: l'accusa, pesantissima, è di Giorgia Meloni, che si è collegata in videoconferenza con il tribunale di Sassari per il video a luci rosse manipolato con il volto della premier.
L'imputato è un 40enne di Sassari, Alessio Scurosu: è lui l'autore dei filmati hard artefatti diffusi nel 2020 sulla rete, con il volto della leader di Fratelli d'Italia posto sul corpo di diverse attrici di film per adulti. Un "fake" dalla portata diffamatoria difficilmente calcolabile, che sempre più spesso anche grazie al ricorso all'Intelligenza artificiale e ai Deepfake colpisce donne famose e non. Anche per questo la Meloni si è detta non disposta a perdonare l'autore dell'agguato virtuale: "Insisto nel chiedere la punizione dei responsabili, perché considero intollerabili questi fatti. Questa è una forma di violenza contro le donne".
Rispondendo in video-collegamento da Roma alle domande della pm Maria Paola Asara, della giudice Monia Adami e dell'avvocato della difesa Maurizio Serra, la presidente del Consiglio, che si costituita parte civile con l'avvocata Maria Giulia Marongiu, ha ribadito la sua linea ferma per contribuire a stroncare questo genere di soprusi: "È intollerabile per come mi hanno fatto sentire quelle immagini, è intollerabile in generale, ancora di più per una persona come me che ogni giorno lavora contro la violenza sulle donne".
"Oggi - sono state le sue parole - con l'avvento dell'intelligenza artificiale, se lasciamo passare che la faccia di qualsiasi donna possa essere montata sul corpo di un'altra donna, ci troveremo i nostri figli in queste situazioni, che è esattamente la ragione per cui considero più che legittimo fare questa guerra. Lo considero un fatto di responsabilità, e magari ci sarà bisogno anche di leggi più severe".
La premier ha chiesto un risarcimento di 100mila euro, annunciando che il denaro sarà devoluto al Fondo del ministero dell'Interno per le donne vittime di violenza. L'inchiesta era stata avviata dalla Polizia postale di Sassari nel 2020 in seguito a una segnalazione arrivata direttamente da Roma. Tramite il nickname utilizzato sul sito internet, gli agenti erano risaliti all'utenza telefonica da cui erano partiti i dati e quindi avevano identificato i presunti autori dei video circolati in rete per parecchi mesi. A processo sono così finiti Alessio Scurosu e suo padre Roberto, di 73 anni, che ha chiesto e ottenuto dalla giudice la messa alla prova e l'affidamento all'Ufficio di esecuzione penale esterna. Farà un programma di lavoro di pubblica utilità della durata di 4 mesi, che svolgerà all'Unione italiana ciechi e ipovedenti.