Cortine fumogene

Cafiero De Raho, lo strano caso dell'onorevole che deve indagare su se stesso

Daniele Capezzone

Silenzio e cortine fumogene. Cortine fumogene e silenzio. Sono questi i due ingredienti – abilmente alternati o combinati – con cui la sinistra, da sempre, cerca di disinnescare i casi che non le giovano. Il format lo conosciamo tutti: quando uno scandalo (vero, verosimile, presunto: poco importa) può giovare ai progressisti sul piano della propaganda e del consenso, allora parte la grancassa mediatica con relativo accompagnamento politico, o – invertendo i fattori – la campagna politica con eco mediatica: mobilitazioni, paginate di quotidiani, speciali televisivi, discesa in campo di “inchiestisti” e indignati di professione, e così via. Quando invece un affaire nuoce ai compagni, allora o si stacca la spina (silenzio mediatico) oppure, se proprio un pochino di informazione va fatta, si scelgono modalità oscure, complicate, tali da far venire il mal di testa ai lettori e scoraggiarli in partenza.

È in questo secondo modo che viene gestito mediaticamente uno scandalo enorme, paragonabile solo alle famigerate schedature Sifar degli anni Sessanta. Stavolta il caso è quello di un sottufficiale della Guardia di Finanza, Pasquale Striano, a lungo incardinato presso la Procura nazionale antimafia, che è accusato di aver compiuto circa 40mila accessi illegali a banche dati riservatissime, con l’obiettivo – questa è la tesi accusatoria – di compilare dossier ai danni di personalità quasi tutte appartenenti all’area del centrodestra. E tutto questo sarebbe avvenuto per un lungo periodo nel quale al vertice della Procura antimafia c’era il dottor Federico Cafiero de Raho, poi divenuto parlamentare grillino, e oggi vicepresidente proprio della Commissione parlamentare antimafia che deve occuparsi della questione.

 

 

 

Facciamo un esempio per mettere meglio a fuoco la questione, e ci perdonerà il Ministro della Giustizia (che ovviamente non c’entra nulla) se facciamo il suo nome per chiarire la situazione. Carlo Nordio è stato un magistrato. Immaginate (non è accaduto) se fosse stato lui a dirigere la Procura antimafia; e immaginate ancora se, sotto la sua guida, un funzionario infedele avesse compilato dossier (o fosse stato accusato di averlo fatto) contro personalità politiche della sinistra. E immaginate se poi, una volta transitato in politica a destra, Nordio fosse diventato il numero due della Commissione parlamentare incaricata di indagare sulla faccenda.

Che sarebbe successo? Nordio ci perdoni ancora se siamo un po’ brutali: ma sarebbe stato impalato vivo, (metaforicamente) trapassato da orrendi bastoni e presentato ai cittadini (ipotesi uno) come un incapace sotto il cui naso poteva accadere di tutto o (ipotesi due) come il regista occulto di un complotto infame. Noi, che siamo garantisti sempre e comunque, verso amici e avversari, non applicheremmo e non applicheremo mai questo criterio al dottor Cafiero de Raho (ora onorevole e vicepresidente della Commissione parlamentare antimafia). Dobbiamo presumere – come punto di partenza – che il suo comportamento sia stato corretto: qui a Libero non abbiamo certo la forma mentis dei grillini. Ma – questo sì – chiediamo due cose, nell’ordine che si vorrà. Primo: che, per evidenti ragioni di opportunità, Cafiero de Raho si dimetta da quella Commissione.

 

 

 

Secondo: che, prima o dopo queste dimissioni, la Commissione lo senta, lo ascolti, gli ponga tutte le domande indispensabile. A chi scrive questo articolo è capitato, in una vita precedente, di presiedere due Commissioni parlamentari: nessuna norma regolamentare impedisce – in una forma o nell’altra – di sentire anche un membro del Parlamento, se necessario. A maggior ragione se si tratta dell’unica persona che, per l’incarico ricoperto in quel momento, ha la possibilità e il dovere di fare chiarezza su un affare delicatissimo di sicurezza nazionale.

In altri termini: chi – all’interno della Procura nazionale antimafia – ha scelto, incaricato e poi eventualmente coperto il sottufficiale Pasquale Striano? Oppure: chi – nella migliore delle ipotesi – ha omesso di vigilare adeguatamente sul suo operato? Se dovesse essere confermata la tesi accusatoria e quindi la responsabilità del sottufficiale Striano, siamo così ingenui da credere che abbia svolto un’attività così rischiosa solo per passare qualche carta a tre cronisti?

Tra l’altro (ne scriveva ieri Repubblica, un quotidiano non certo sospettabile di simpatie per il centrodestra dossierato), il successore di Cafiero de Raho alla Procura antimafia, il dottor Melillo, avrebbe segnalato criticamente il fatto che, ai tempi di Cafiero de Raho, non sarebbero esistite regole scritte o comunque prescrizioni operative sufficientemente stringenti rispetto alle attività in questione, il che – desumiamo – potrebbe aver facilitato le intrusioni e le attività anomale di Striano (sempre se la tesi accusatoria sarà confermata). Noi non sappiamo se le cose stiano così: ma che si aspetta a chiedere all’onorevole Cafiero de Raho notizie sul comportamento del dottor Cafiero de Raho? Non stiamo pirandelleggiando: stiamo semplicemente domandando a un parlamentare della Repubblica di chiarire il suo comportamento – magari corretto e ineccepibile, non possiamo escluderlo – quando ricopriva un’altra delicatissima funzione.

Ancora. Trasferendoci su un altro giornale fieramente di opposizione, il Fatto quotidiano, apprendiamo che, secondo una ricostruzione, sempre il dottor Melillo, una volta arrivato alla Procura antimafia, sarebbe stato oggetto di un invito, da parte dei vertici di allora della Guardia di Finanza, a incontrare il sottufficiale Striano: un invito interpretabile – desumiamo – come una manifestazione di considerazione verso Striano da parte dei vertici del tempo della GdF. Le cose andarono effettivamente così? Anche in questo caso, auspichiamo, anzi siamo convinti del fatto che i più alti ufficiali della Finanza di quel tempo non avranno difficoltà – oggi – a chiarire cosa accadde.

E ancora: qualcuno può essere così ingenuo da credere che, a fronte di decine di migliaia di accessi illegali per estrarre informazioni riservate, tutto sia confluito in appena 5-6 articoli di un quotidiano (Domani)? E tutto il resto del materiale che fine ha fatto? Che uso è stato compiuto di questa massa di informazioni, o che uso si pensava di compierne, e in cambio di quale utilità? I cittadini hanno il diritto di sapere. Di più: deve essere sgombrato il campo da un autentico macigno: se questa attività di pesca a strascico avveniva “on demand”, chi sono i soggetti che hanno effettuato richieste indebite? Si deve ritenere che, in circuiti istituzionali o su binari paralleli, si fosse diffusa la convinzione che esistesse un service provider di informazioni sensibili? E vi per caso sono entità estere che si sono avvantaggiate di questa attività? Ogni minuto che passa senza che vengano pienamente accesi i riflettori su questa vicenda, e senza che l’opinione pubblica ne sia adeguatamente informata, è un minuto perso.