Il commento

Meloni-Draghi, il retroscena sull'incontro a Palazzo Chigi: sinistra e rosiconi zittiti

Fausto Carioti

Muore assieme all’estate la favola di Mario Draghi che briga contro Giorgia Meloni per insediare un governo di larghe intese, sorretto non si sa da chi e magari guidato proprio da lui. Nello stesso giorno in cui Marina Berlusconi ridicolizzale «trame politiche da fantascienza» raccontate da Repubblica, l’ex presidente del Consiglio, dipinto al centro di quelle trame assieme alla presidente di Fininvest, varca dopo pranzo il portone di palazzo Chigi.

Lo aveva invitato Giorgia Meloni una settimana fa, per discutere del Rapporto sul futuro della competitività europea scritto dall’ex presidente della Bce. Tra i due ci sono sempre stati stima e rispetto, paradossalmente cementati proprio mentre Fdi era l’unico partito d’opposizione al governo del banchiere romano: la sua presidente, che aveva assicurato lealtà in politica estera, condividendo la linea atlantica e l’appoggio all’Ucraina, mantenne la promessa.

 

 

 

La scelta di Giancarlo Giorgetti (sponsorizzato da Draghi) come ministro dell’Economia e il passaggio di consegne più “normale” degli ultimi decenni (in certi gesti persino caloroso) confermarono la sintonia tra due personaggi così diversi per provenienza e cultura politica. Sintonia che non è mai venuta meno, sebbene a sinistra non abbiano smesso di contrapporli.

Anche ieri mattina, parlando davanti all’assemblea di Confindustria, la premier ha citato il suo predecessore, del cui ultimo lavoro condivide le parti più importanti. «Come correttamente ha sottolineato Mario Draghi nel suo Rapporto sulla competitività europea», ha detto agli imprenditori, «gli ambiziosi obiettivi ambientali dell’Europa devono essere accompagnati da investimenti e risorse adeguati, da un piano coerente per raggiungerli, altrimenti è inevitabile che la transizione energetica e ambientale vadano a scapito della competitività e della crescita».

Il pragmatismo su cui dovrebbe poggiare la (auspicabilmente) nuova Ue, insomma. Lo stesso che ha spinto Ursula von der Leyen a spostarsi a destra per dare a Raffaele Fitto, esponente di Fdi e del gruppo conservatore europeo Ecr, l’incarico di vicepresidente esecutivo della Commissione, accompagnato da deleghe pesanti. Dei cambiamenti che la Ue deve fare per non crollare hanno discusso Meloni e Draghi nell’ora abbondante trascorsa sulle poltrone blu dell’ufficio del presidente del consiglio. Saluto iniziale con formale stretta di mano, saluto finale con bacio sulla guancia e l’impegno a proseguire il dialogo, in mezzo un lungo scambio di idee. «Un confronto approfondito sul Rapporto sul futuro della competitività europea presentato da Draghi», faranno sapere poi gli uffici della premier in una nota.

 

 

In quelle 65 pagine zeppe di dati e ricette, Meloni ha trovato infatti «diversi spunti importanti». Tra questi, a palazzo Chigi elencano la necessità di «un maggiore impulso all’innovazione», senza la quale non c’è crescita economica, «la questione demografica, l’approvvigionamento di materie prime critiche e il controllo delle catene del valore». Temi su cui la premier spinge da tempo. Soprattutto, spiegano ancora a palazzo Chigi, il capo del governo condivide con Draghi «la necessità che l’Europa preveda strumenti adatti a realizzare le sue ambiziose strategie». È velleitario, infatti, imporre traguardi difficilissimi e costosi, se non ci si pone il problema di chi e come dovrebbe pagare il prezzo per raggiungerli. Vale «per il rafforzamento dell’industria della difesa fino alle doppie transizioni», ossia gli obiettivi di decarbonizzazione fissati dal Green deal e la trasformazione digitale delle pubbliche amministrazioni, per i quali sono previsti scadenze e investimenti non sostenibili per i singoli Stati e le imprese.

La linea del governo italiano è che questi obiettivi, oltre a essere de-ideologizzati e resi compatibili con i mezzi a disposizione, debbano essere perseguiti «senza escludere aprioristicamente nulla, compresa la possibilità di un nuovo debito comune». Proprio su questo insiste uno dei passaggi più importanti del documento che Draghi ha consegnato a von der Leyen e alle altre istituzioni europee.

L’ex presidente della Bce sostiene che l’Ue «dovrebbe continuare ad emettere strumenti di debito comune, che verrebbero utilizzati per finanziare progetti di investimento congiunti volti ad aumentare la competitività e la sicurezza della Ue», quali «il finanziamento di ricerca e innovazione e l’approvvigionamento della difesa». Letto, riletto e sottolineato da Meloni. È chiaro che non tutto ciò che è scritto nel “manuale” di Draghi può essere controfirmato dalla presidente del consiglio, male «priorità condivise» (così le chiamano a palazzo Chigi) sono molte e riguardano gli aspetti principali del futuro del continente. Così i due ex premier, che a sinistra vorrebbero in guerra l’uno con l’altro, si trovano a fianco nella battaglia per far cambiare rotta alla Ue.