Strane requisitorie

Open Arms, nel processo contro Salvini il pm non difende la legge ma la sua filosofia dei diritti

Corrado Ocone

Strana davvero la requisitoria del procuratore di Palermo che ha chiesto la condanna a sei anni di reclusione per Matteo Salvini. Più che strana, indicativa di una “deriva” che chi esercita una professione così delicata non dovrebbe poter permettersi. Il magistrato dovrebbe attenersi, semplicemente, ad applicare la legge del suo paese, non essendo, nell’esercizio delle sue funzioni, né un filosofo né un politico. Due attività che, per così dire, sono, rispettivamente, a monte e a valle del diritto costituito.

Prendiamo per esempio l’affermazione centrale della requisitoria di Geri Ferrara: «Tra i diritti umani e la protezione della sovranità dello Stato», egli ha dichiarato, «in democrazia i primi prevalgono sempre, e non possono essere inficiati da chi riveste una funzione pubblica». Nonostante possa apparire il contrario, questa non è un’affermazione affatto pacifica. Per intanto quali sono i “diritti umani”, quelli che una tradizione vuole assoluti e inalienabili? Si fermano alla protezione della vita, come volevano i classici, o si estendono a tutti i desiderata della cultura progressista oggi dominante, dando vita a quella vera e propria perversione che è stata opportunamente definita “dirittismo”?

QUALI DIRITTI?
Ammesso e non concesso, comunque, che esista una tabella chiara e precisa dei diritti umani, si può dire che esista anche un diritto allo sbarco e ad entrare da clandestino in un altro paese (non sembra che sulla Open Arms ci fossero “rifugiati politici”)?

Più radicalmente, ammettere che esistano dei “diritti umani” non significa prendere una posizione chiara a favore di una corrente di pensiero, quella del giusnaturalismo, che non è affatto l’unica che si possa concepire in filosofia del diritto, né tantomeno la sola che si concili con la democrazia (Hans Kelsen, ad esempio, era un giuspositivista e proprio su questa base filosofica aveva costruito la sua difesa della democrazia)?

Detto questo: sulla Open Arms non solo non c’erano individui in pericolo di vita, ma la loro situazione (ovviamente temporanea) non era molto diversa da quella di chiunque è trattenuto dalle forze di polizia per essere identificato e, in questo caso, collocato. Altro che “sequestro di persona”! Il diritto allo sbarco, in verità, esisterebbe solo in un caso: se esistesse un Super Stato cosmopolita, senza frontiere e confini, governato da un’unica legge.

 

Ora, a parte i problemi di convivenza e di sicurezza che facilmente si creerebbero in tale contesto, quel che va sottolineato è che uno stato siffatto, cioè uno Stato Universale Omogeneo (come lo chiamava il filosofo Alexandre Kojève), basato su arbitrari “diritti umani” e sul Bene Assoluto, assomiglierebbe non poco a certe distopie e sarebbe comunque uno stato di polizia.

Quanto alla democrazia, essa può svolgersi solo in un contesto di pluralismo, di lotta fra opinioni e interessi diversi che poi trovano composizione in una sintesi comune e da tutti accettata. Che è quella che prende forma nelle leggi e nell’ordinamento che una comunità politica liberamente si dà. La sovranità statale che il procuratore tanto aborre non è altro che la cornice ove si svolge questa lotta e ove maturano queste sintesi. La difesa dei confini nazionali, a cui si è richiamato Salvini, è perciò il primo dovere di un politico: un dovere costituzionale perché si tratta di difendere nientemeno che il campo di gioco ove avviene la partita democratica.

INVESTITURE POPOLARI E NON
Fra l’altro, lungi da inficiare la funzione pubblica rivestita, come in burocratese il procuratore ha affermato, il vicepremier aveva avuto una chiara investitura popolare a seguire un dettato costituzionale sul cui rispetto in passato si erano chiusi più di un occhio facendo entrare da clandestini persone ingannate da loschi trafficanti e politici irresponsabili.

La morale di tutta questa faccenda, così come di altre diverse ma pur nella loro essenza simili (da ultimo il caso Toti), è che ad inficiare la funzione pubblica a cui sono chiamati sono proprio alcuni magistrati politicizzati (per fortuna non tutti) e certi politici (soprattutto ma non solo di sinistra). I primi non hanno ben chiaro il loro ruolo, che in sostanza in democrazia è prettamente tecnico (non essendo stati, fra l’altro, scelti dal popolo in libere votazioni). I secondi pensano invece di lucrare un vantaggio da certe vicende, ad esempio negando l’autorizzazione a procedere ad un loro avversario, non rendendosi conto di segare in questo modo la sedia su cui stanno seduti. A questi ultimi andrebbe detto: non parlate più di crisi della politica e della democrazia, se siete proprio voi ad assestare ad esse colpi mortali!