Bocciata

Elly Schlein, vita nerd e banalità politiche: ostaggio dell'autobiografia

Francesco Specchia

Perché Elly Schlein scrive un’autobiografia? Sia detto con stima per lei e il minimalismo americano. «Perché vogliamo cambiare questo Paese. Altrimenti non avrei fatto la scelta un po’ controcorrente che ho fatto, nata italiana in un altro Paese, di venire qui a costruire il mio futuro». Quando, parlando, tra il Nazareno, i talk show e le salamelle delle Feste dell’Unità, Schlein disegna nell’aria arabeschi berlingueriani, be’, è molto più efficace di quando lo fa scrivendo. E allora perché lo fa?

Perché pure lei, seppur ancor 39enne, come tutti i leader che l’hanno preceduta (Renzi, D’Alema, Veltroni, Di Battista, il Berlusca e Andreotti, Salvini e Meloni) ha ceduto alla tentazione di mescolare memorie, programmi elettorali e flussi di coscienza? E perché li ha infilati tutti nel libro L’imprevista - Un’altra visione del futuro (Feltrinelli, pp. 240, euro 18), che è un colloquio, ben scritto, con Susanna Turco; e nel contempo un infiammato ancorché zoppicante cammino verso il mitico “campo largo”?

Evelyn Waugh diceva che solo quando si perde ogni curiosità per il futuro, si raggiunge l’età per scrivere un’autobiografia. Ed è per questo che speravo che Elly, così insaziabile di futuro, evitasse la trappola di carta. Eppure siamo qui, a recensire un libello che titilla una base di fan già granitica ma che nulla aggiunge o toglie alla storia della cara leader; e che cavalca gioia e vanità tipiche del politico medio. Un’autobiografia è una seduta di autoanalisi. E qui la seduta si accende da un lungo colloquio con la Turco fatto negli intervalli dell’ultima - ragguardevole, 24%- campagna elettorale europea del Pd «dopo sette mesi e migliaia di chilometri in aereo, in treno, in nave, a piedi, strette tra persone, mani, piazze, palchi, caricabatterie, appunti, giacconi appallottolati, panini dell’altroieri, a cercare l’Italia nell’Italia». Ne esce un libro bipolare.

 

I DUE VOLTI
Dai due volti. Il primo volto è quello dell’aneddotica e delle esperienze personali della futura segreteria dem. C’è Elly la nerd anni ’90 a cui «piace mangiare i panini degli autogrill, le lasagne, le patate al forno, guardare Sanremo commentandolo con le amiche su Facebook, secondo un rito che non si è interrotto nemmeno con l’arrivo alla segreteria, staccare un po’ la notte giocando ai videogiochi (dalle saghe storiche di Super Mario e Zelda a Grand Theft Auto, Monkey Island, tutti gli Assassin’s Creed)». C’è Elly che monta video nella neve sulle note indie di Four Night Rider dei Rural Alberta Advantage mentre lei si presenta agli esami con la chitarra di un gruppo rock metal.

C’è il calcio, giocato coi maschi in mancanza di squadre femminili e lei che cresce vicino Lugano, «giocando tra i boschi di castagni vicino casa, con i prati che via via si restringono per far posto a nuove lottizzazioni, i genitori che continuano a insegnare all’università, il padre a Lugano, la madre pendolare prima con Milano e poi con Como e Varese». C’è il primo incontro, messianico, con Prodi mentre faceva jogging a Bologna «era il 2009, maggio, dopo aver fatto serata al Cassero ero tornata a casa, mi ero messa a guardare le notizie in rete.

Lessi un articolo in cui si diceva che Matteo Salvini a Milano proponeva di riservare alcune carrozze nelle metro ai milanesi: persi il sonno. Uscii, per sbollire un po’, arrivai ai giardini Margherita, era l’alba». Ci sono gli zainetti rubati in treno e gli spot per la sinistra universitaria col coniglio in ostaggio, e l’esperienza nella campagna elettorale di Obama: «In duecento tutti stipati su enormi tavoli, in giro è un casino, un bambino con la maglietta di Obama e un enorme cilindro coi colori della bandiera americana si aggira per offrirci leccalecca e caramelle con un sorriso inquietante». E questo è, certo, il lato della Schlein entusiasticamente cazzara. Si fosse limitata l’operazione editoriale fin qui, sarebbe stato ok.

Il problema è l’altra faccia del libro, crepuscolare e talora narcotica, col coté delle dichiarazione programmatiche, dei messaggi elettorali, degli attacchi agli avversari politici, dell’esaltazione di una nuova frontiera kennedyana in salsa bolognese. E lì affiora il solito moloch: «Per la mia generazione occuparsi di politica è stata da principio una ribellione contro il berlusconismo. Era una sinistra che non riusciva a contrastarlo efficacemente. Ecco la molla. Era un periodo che forse abbiamo dimenticato: battute sessiste, barzellette, cene dei giudici costituzionali, ci prendevano in giro in Europa. Ed era tutto sbagliato». E poi Schlein certifica che «la politica è una passione che si prende lo spazio, è eterodossia e non ortodossia»; e infatti lei arriva «alla segreteria del Pd in una stagione in cui il partito nei sondaggi era precipitato al 14%, ampiamente scavalcato dal Movimento 5 Stelle, sempre a rischio scissione. E in un anno l’ha portato al 24%». E viene evocata la furia del suo «occupy Pd, un moto spontaneo, una rivolta che esplode in rete e nei circoli del Pd quando 101 parlamentari del Pd affossano nell’Aula di Montecitorio con il voto segreto la candidatura di Romano Prodi per il Quirinale», l’evento che lanciò Elly verso i giorni del comando. E quindi, si ripercorrono i successi delle elezioni Europee e di quelle Regionali, e gli attacchi sincopati agli avversari come Salvini («sono stati mesi terribili, hanno mostrato il volto più feroce sugli stranieri: i decreti Salvini, il blocco delle navi nei porti») e contro Meloni i cui duelli nei question time sono qui visti solo dall’ottica del Pd.

 

COME GIOVANNA D’ARCO
Elly ne emerge come una neo Giovanna D’Arco contro tutti e tutto, perfino contro il razzismo degli svizzeri («nonostante ci sia da tempo una forte presenza italiana, questo non ha evitato forti pregiudizi verso di noi»). E ancora, ecco i video delle manifestazioni, dei flash mob, e lo spot dove, con il gruppo di Giurisprudenza democratica, Elly Schlein elenca «cinque buone ragioni» per votarla. E le «cinque ragioni» sono quelle, tra l’altro, riciclate nel suo discorso recente a Bologna. E, nell’elencare i suoi successi, punta il dito contro: il neolibersimo, “teleMeloni”, le ammucchiate politiche di Atreju, i liberali di Macron.

Così, random. Nulla di nuovo. Non sono altro che i commenti e le dichiarazioni che compulsiamo tutti i giorni dal dibattito politico. Ed è questa la parte più, diciamolo, banale. In un capitolo del libro è descritto l’arrembaggio ad Elly di una fan, «la signora Orlandina, che non ha certo l’agilità della centometrista, insegue la segretaria con una determinazione d’altri tempi lungo il corso di Piombino per placcarla per una foto. Alla domanda su cosa le piaccia di Elly Schlein tanto da farla correre per strada a quasi ottant’anni, fornisce una risposta spiazzante: “Mi piace come parla”». Ecco, come parla, appunto. Sulla biografia scritta possiamo aprire il dibattito...