Letale
Romano Prodi, la sua ricetta per uccidere il mercato immobiliare
Romano Prodi dispensa idee per aiutare gli italiani alle prese con i problemi del mercato immobiliare, e la memoria vola alle nove parole che Ronald Reagan riteneva «le più terrificanti», quelle che un normale cittadino deve temere sopra ogni altra cosa: «Io sono del governo e sono qui per aiutare». Non è questione d’intenzioni.
Stavolta l’intento dell’ex premier è lodevole ed è chiaro che, da vecchio democristiano, sogna un nuovo piano di edilizia pubblica, tipo quello voluto nel dopoguerra da Amintore Fanfani. Nel suo articolo apparso sul Messaggero di ieri ne scrive pure una giusta: «Mancano le necessarie garanzie nei confronti del corretto pagamento del canone e dei tempi e dei costi da affrontare nel caso che l’inquilino si rifiuti di lasciare libero l’alloggio alla scadenza del contratto. Il che scoraggia l’offerta delle case in affitto e i necessari investimenti». Bravo professore, tutto vero. Anche se uno si chiede come mai, visto che si tratta di questione antica, lui non abbia fatto nulla per risolverla nei quattro anni e mezzo trascorsi a palazzo Chigi.
Il merito di Prodi inizia e finisce qui, il resto della sua diagnosi obbliga a ringraziare ancora una volta i 101 franchi tiratori del centrosinistra che gli impedirono di arrivare al Quirinale. C’è troppo privato e poco Stato, è la formula con cui spiega le difficoltà d’incontro tra domanda e offerta di case. Non apprezza che l’80 per cento degli italiani viva in un appartamento di proprietà. Meglio nel nord Europa, secondo lui, dove gran parte delle famiglie abita in alloggi presi in affitto da enti e società. «Vivere in una casa propria», spiega, «è comprensibilmente considerata una caratteristica positiva, ma, in una società fortemente mobile come deve essere ogni società moderna, questa realtà crea problemi crescenti per le persone, per le famiglie e per l’intero paese». Si spiegano così, secondo lui, i costi delle abitazioni e degli affitti: sono diventati insostenibili perché tutti vogliono comprare casa.
A parte la correlazione azzardata, è il vizio di chi intende la politica come una disciplina pedagogica: i governati non sanno quali sono le cose migliori per loro, gliele spieghiamo noi. Quando invece gli individui sanno meglio di chiunque altro come investire i loro sudati quattrini. Ed è proprio il loro patrimonio privato, composto in grandissima parte dai mattoni delle prime e seconde case, l’unica solidità rimasta a un Paese gravato da un debito pubblico pari a 112.500 euro per famiglia.
A preoccupare di più, però, è il resto del suo ragionamento. «È sostanzialmente scomparsa ogni presenza pubblica nel mercato immobiliare», lamenta il professore, che vorrebbe vedere questo settore maggiormente statalizzato. Scomparsa? La mano pubblica è onnipresente nel mercato immobiliare italiano, si chiami amministrazione comunale, ente regionale, Stato nazionale o Unione europea. È il virus patogeno che lo ha aggredito e ridotto al collasso.
Lo Stato fa male quello che dovrebbe fare: come ricorda Confedilizia, ci sono almeno centomila case popolari non disponibili perché non assegnate, non riqualificate, bloccate da ritardi burocratici. Molte altre (manca persino un censimento decente) sono in mano ad occupanti abusivi e morosi cronici. Prima di pensare ad un altro piano di edilizia residenziale pubblica, sarebbe il caso di imparare a gestire come si deve quella che già c’è. Anche per evitare che gli appartamenti di nuova costruzione facciano la fine di quelli vecchi.
EFFETTO “CASE GREEN”
La mano pubblica frena pure gli affitti non abitativi, regolati da una legge iper-vincolista che risale- guarda caso - al 1978 e che, combinata con l’assenza della cedolare, contribuisce alla desertificazione commerciale. Lo Stato altera il mercato immobiliare anche tramite il fisco. Ogni anno 22 miliardi di euro arrivano in cassa solo dall’Imu, che assieme alla Tari (circa 10 miliardi) e alle altre imposte legate al catasto garantisce un prelievo complessivo di 50 miliardi. Costi ulteriori per proprietari e locatari, e che, quando ricadono sui primi, si trasferiscono sul canone d’affitto.
L’alta tassazione è un danno per la collettività anche perché incentiva la trasformazione degli immobili in ruderi, triste espediente usato per non pagare l’Imu: dal 2011, anno in cui l’imposta è stata introdotta, gli edifici in questa condizione sono più che raddoppiati, e oggi superano i 620mila.
Patrimonio che va in malora.
Se «i lavoratori con un livello medio di reddito», come denuncia Prodi, «non sono più in grado di vivere nelle aree metropolitane», se certe città sono riservate ai ricchi, una grande responsabilità l’hanno anche le politiche di stampo “californiano” dei loro sindaci e i costi imposti in nome della decarbonizazione.
Secondo le stime della società di consulenza Deloitte, la direttiva Ue sulle “case Green” costerà ai proprietari italiani di appartamenti, otto su dieci dei quali sono considerati obsoleti, tra gli 800 e i 1.000 miliardi di euro. Le sinistre che difendono il provvedimento rispondono che questi «investimenti» faranno aumentare il «valore» dell’immobile. È l’altro modo per dire che le case costeranno ancora di più, a chi le comprerà e a chi le prenderà in affitto. Volesse risolvere i problemi del settore e abbassare i costi degli alloggi, Prodi dovrebbe iniziare a strappare pagine dal programma dell’Unione europea e proseguire con quelli del Pd e dei suoi alleati.