Un racconto
Medioriente, quando iniziò il flirt fra sinistra e islamisti
Non c’è altro Dio all’infuori di Allah. Ma nemmeno c’è uno straccio di ebreo che non sia armato fino ai denti in questa città santa e disonorata. È da stamattina all’alba che cammino senza combinare nulla e a ogni passo per me è una umiliazione. Come farò a vendicarti, fratello mio, cugino Ashraf? Ti hanno ammazzato gli ebrei perché giravi con una pistola a Jenin, la nostra Jenin. Casa nostra. Pongo la mia fiducia in Allah. E vado avanti. Avevo provato ad avvicinarmi a un asilo. Sarebbe stato un colpo mica male: per gli ebrei, i bambini sono tutto. Il giardino di infanzia sembra un’installazione militare, guardie davanti all’ingresso e telecamere ovunque. Ma quando arrivano i genitori a prenderseli, ho la possibilità di colpire: nel tragitto fra il cancello e la macchina del loro papino o mammina. Certo, i genitori saranno armati e mi faranno a pezzi in pochi secondi. Devo sferrare due o tre coltellate al collo dei piccoletti. Senza pensare che sono ancora bambini ma che cresceranno e diventeranno scimmie e maiali. Gli insegneranno a usare i fucili d’assalto americani e le Uzi e poi saranno loro ad ammazzare i nostri bambini. A Jenin siamo pieni di ragazzetti, spesso mi chiamano i miei fratellini perché giochi a calcio con loro. Asilo, giocattoli, macchinone non sanno cosa siano. Però a pallone i nostri giocano meglio... (...)