L'intervista
Vannacci: "Lega, Egonu, guerra. Ora vi racconto tutta la mia verità"
Onorevole Vannacci, ha visto che Paola Egonu ha vinto l’oro olimpico e che la sinistra (e non solo) ha scatenato contro di lei una campagna d’odio travisando le sue parole? Che ne pensa?
«La mia posizione non è cambiata nel corso di quest’anno. Ho sempre detto che la Egonu è una grandissima campionessa, ma non ho mai detto che non è italiana o che non possa rappresentare l’Italia indossando la maglia azzurra».
E cosa ha detto allora?
«Ho detto, e lo confermo, che i suoi tratti somatici non rappresentano l’italianità classica. Non mi pare ci sia nulla di male in questo: è un’evidenza. Qualcuno può sostenere il contrario? Nessun insulto, per me Egonu è italiana, sono contento che abbia vinto la medaglia con le altre ragazze. È una grande campionessa e alla prima occasione le chiederò anche l’autografo».
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Va detto che queste Olimpiadi hanno dato spunti di polemica ben più succosi quella sull’Egonu...
«I Giochi sono partiti male già dalla cerimonia di apertura che tutto ha rappresentato tranne che i valori dello sport: lealtà, onore, competizione, patriottismo, impegno, determinazione. Quali di questi valori si percepivano da quello spettacolo offensivo? Nessuno. Io ho visto solo mancanza di rispetto verso la cristianità».
C’è stato anche il caso delle due boxeur intersessuali. Se ne è discusso molto e l’impressione è che la polemica non finisca con i Giochi...
«Anche qui, nessuno mette in dubbio l’esistenza di condizioni diverse, ma ci deve essere trasparenza. Non si vuole offendere o denigrare nessuno, ma la base dello sport è quello di competere ad armi pari e la poca trasparenza non ha aiutato a chiarire questo aspetto».
Colpa del Cio?
«È chiaro che sia un organismo fortemente politicizzato, che ha sposato l’assurdità secondo la quale non conta la realtà, ma come mi percepisco...».
Lasciamo lo sport. Sabato scorso lei ha fatto il suo esordio a Pontida. A leggere i giornali avrebbe dovuto trovare una Lega in rivolta contro di lei che “profanava” un luogo sacro del Carroccio. È andata davvero così?
«Al contrario, mi hanno riservato un caloroso benvenuto e io ho capito l’importanza di essere nella culla del partito che, seppur da indipendente, mi ha candidato a rappresentarlo in Europa. Della serata ho apprezzato soprattutto lo spirito di coinvolgimento personale dei volontari. Ho trovato un’atmosfera sentita che si ispira ai valori del territorio, dell’identità dei popoli, che noi continuiamo a sostenere».
Lei ha davvero intenzione di lasciare la Lega e fondare un suo partito?
«Oggi il mio posto è nella Lega. Sono stato eletto nelle sue fila e la rappresento a Bruxelles. Questo è il futuro della mia attività politica. Anche perché con il ministro Salvini ci legano valori condivisi: il principio della sovranità, della sicurezza, dell’identità, della meritocrazia. In caso contrario la candidatura me l’avrebbero proposta Bonelli e Fratoianni...».
Se l’immagina un’accoppiata Vannacci-Salis?
«Continuano ad accomunare le nostre storie, ma io con l’onorevole Salis non ho nulla in comune. Io ho passato 37 anni della mia vita a farmi sparare addosso in mezzo mondo per difendere l’Italia e lottare per i principi costituzionali. Non so cosa questo abbia in comune con Ilaria Salis, che nella sua vita ha fatto cose totalmente diverse...».
Lei è stato eletto al parlamento europeo con oltre mezzo milione di voti. Com’è stato l’approccio coi palazzi del potere?
«La prima impressione è stata quella di trovarmi di fronte a una realtà molto complessa. Lo dico in maniera diretta: un gran baraccone, del quale è difficile capire le dinamiche. Questo però sarà il mio nuovo campo di battaglia e mi ci dovrò abituare. Anche perché solo comprendendo come funziona sarò in grado di trovare i punti di vulnerabilità da sfruttare per essere influente. Se c’è una cosa cui non aspiro è quello di stare lì ad aspettare che i cinque anni del mandato passino senza aver conseguito alcun risultato».
Per riuscirci ci sarebbe voluto un cambio concreto. Dal voto, invece, sono usciti numeri che hanno consentito la riconferma della vecchia Commissione. Deluso?
«Dobbiamo far capire meglio agli elettori che sono loro che hanno in mano, col voto, il futuro dell’Europa. Chi ha votato i partiti, anche in Italia, che poi hanno appoggiato la von del Leyen, hanno votato per chili sta riducendo sul lastrico. Quindi la prossima volta dovranno fare ammenda e scegliere qualcosa di meglio...».
A Bruxelles vedremo un Vannacci che si batterà per...?
«Per dare ai nostri figli un futuro migliore rispetto a quello cui tende la Commissione che a oggi ci ha dato povertà, instabilità e insicurezza. Per contro dobbiamo fare buon viso a cattivo gioco. Il parlamento ha rieletto la von der Leyen, ma noi siamo pronti a darle filo da torcere, perché non è detto che non si riesca ad influire sull’agenda di governo. Come? Facendo gli incursori, che vuol dire riuscire a cambiare il corso degli eventi con un’attività specifica che serve in quel determinato momento, come ad esempio trovare una maggioranza alternativa che su quella singola partita abbia interessi comuni. Non sarà facile, ma non molleremo di un millimetro».
Parliamo di guerra. Come si sta sta muovendo l’Europa?
«Ho ascoltato il discorso d’insediamento della von del Leyen e l’ho trovato di un doppiopesismo insopportabile. Per la guerra russo-ucraina ha detto che dobbiamo combattere ad oltranza, sino alla vittoria. Solo che non ha detto qual è la vittoria per l’Europa. Quando invece ha parlato di Israele e Gaza ha detto che ci vuole subito il cessate il fuoco. E allora io mi domando perché basta armi per Gaza e non per Kiev?».
Lei, che di mestiere fa il generale, che idea si è fatto?
«Ho passato la vita col fucile in mano. Diciamo che non passo per pacifista..., ma sono d’accordo con quanto diceva von Clausewitz e cioè che la guerra è la continuazione della politica con altri mezzi. E allora la domanda da farsi è: quand’è che conviene fare la guerra? Dopo due anni e mezzo non si è raggiunto nessun risultato favorevole all’Ucraina e all’Europa e il prezzo della guerra lo stiamo pagando noi. Io direi che è giunto il momento di cercare la pace attraverso la negoziazione».
Detta così è facile, ma la realtà sembra un po’ più complessa...
«Guardi non bisogna dare retta a chi dice che negoziare è impossibile in questo momento. Per esperienza le dico che negoziare è sempre possibile, basta stabilire il prezzo».
Dare un prezzo alla pace?
«Sì. Continuano a parlare di “pace giusta”, ma vi stanno imbrogliando. La pace giusta non è mai esistita nella storia dell’umanità. È esistita solo la pace dei vincitori, che non è mai giusta. Se vogliamo evitare che la pace dei vincitori si trasformi in un olocausto termonucleare, allora dobbiamo raggiungere una pace ragionevole oggi. Basta armi, missili, cannoni. Sediamo ci a un tavolo e ragioniamo per far terminare morte, distruzione e regressione economica».
Le elezioni Usa potranno influire sul futuro del conflitto?
«Ho grande fiducia che possa vincere Trump. Per negoziare abbiamo bisogno di attori ed è molto difficile sedersi a un tavolo per la pace con uno (Biden , ndr) che ha dato dell’assassino e del macellaio a uno dei contendenti. Quindi un cambio di leadership porterebbe a un cambio di ottica. E poi, scusate, ma se le potenze occidentali, per garantire 50 anni di pace e prosperità, hanno trattato con Stalin, non capisco perché, per gli stessi scopi, non possano farlo con Putin».
Un’ultima domanda. Un anno fa, il 10 agosto 2023, usciva il suo libro “Il mondo al contrario”. Sinceramente non si è sentito davvero in un mondo al contrario quando in un Paese dove si può pubblicate di tutto, Vannaci non aveva diritto a farlo?
«Più che altro mi sono sentito come in una di quelle dittature che vengono additate dagli stessi che dicevano che non potevo pubblicare il mio libro.
Ma mi ci sono abituato presto. Da allora mi hanno detto che il mio pensiero era offensivo, che istigava all’odio e altro ancora. Tutte tesi smontate dai giudici che hanno detto che non era vero. La cosa che mi ha colpito di più però è un’altra».
La vuole condividere?
«Queste polemiche sono scoppiate in campagna elettorale. Nessuno però ha sentito il bisogno di fare altrettanto con Raimo che parlava serenamente di “lotta amata” con un chiaro inneggiamento al terrorismo italiano. Alla fine però il mio mettere in dubbio il pensiero unico, ha dato i suoi frutti».