Rompicapo napoletano

Scampia, lo sgombero delle Vele ordinato eppure mai eseguito

Claudio Osmetti

«O tutti o nessuno». Scampia, Napoli. Quattro giorni dopo e una situazione immutata, quantomeno nei suoi aspetti più concreti: il bilancio, drammatico, delle vittime resta quello (tre morti, una dozzina di feriti, sette bambine in ospedale di cui due gravi); dentro la Vela Celeste non è rientrato pressoché nessuno, gli sfollati sono ancora centinaia. E proprio loro, dalla sede “occupata” della facoltà di Scienze infermieristiche, all’università Federico II, lo ribadiscono: «O tutti o nessuno».

Qualcuno riceve il placet per rientrare nel suo alloggio, altri sono rassicurati dai tecnici del Comune che casa loro è agibile, una donna incinta è collocata in hotel: nessuno, però, intende lasciare l’accampamento al piano terra dell’ateneo. Un rifugio di fortuna, ma un rifugio collettivo. «Le soluzioni devono garantire pari dignità a tutti», specifica proprio il comitato Vele di Scampia: «Dai tavoli istituzionali sono emersi elementi secondo i quali una parte delle famiglie potrebbe rientrare mentre un’altra necessiterebbe di soluzioni alternative: queste devono esserci subito e devono essere dignitose».

Fronte comune, trincea popolare: son tutti lì, gli abitanti di Scampia, orgogliosamente uniti, che chiedono alla politica di fare la politica e alla magistratura di indagare. Ché è inconcepibile ciò che è successo lunedì sera alle 22.40, su quel ballatoio maledetto, al terzo piano, in quell’ammasso di cemento e ferro che è venuto giù col fragore di una frana. La procura partenopea ha aperto un fascicolo per disastro, omicidio e lesioni plurime, per ora a carico di ignoti. Reati colposi, cioè che presuppongono negligenza o imprudenza o imperizia la quale, data la gestione delle Vele, non può che essere attribuita al pubblico.

Che si sarebbe dovuto accorgere, avrebbe dovuto intervenire prima: dato che le avvisaglie c’erano, come c’era (il particolare aggiunge rabbia all’amarezza), fin dal 2015, un’ordinanza di sgombero coatto dell’edificio, firmata dall’allora sindaco Luigi De Magistris, eletto con l’Italia dei valori di Antonio Di Pietro, che denunciava la mancata manutenzione delle passerelle sopraelevate, epperò non è mai stata eseguita. Non è mai stata attuata. È rimasta lettera morta, dimenticata in chissà quale cassetto dopo la pubblicazione sull’albo pretorio nell’ottobre di nove anni fa. Era tutto scritto, su quell’ordinanza: la necessità di tutelare le 159 famiglie residenti dell’epoca (per un totale di circa 600 persone); la relazione di un dirigente comunale che fotografava il pericolo; quel ballatoio nel quale i giunti, probabilmente, erano traballanti già prima del Covid.

Sono in difficoltà, i pm, perché da un lato le indagini rendono necessario ampliare l’area del sequestro (che copre la struttura dal terzo piano fino a terra), complicando le operazioni di rientro qualora qualche nucleo famigliare decidesse in tal senso; e dall’altro acquisire la carte amministrative del palazzo non è affatto semplice. Nel mezzo c’è l’avanzamento a rilento delle verifiche perché non pochi residenti sembrerebbero essere abusivi. Come se non bastasse, ieri mattina, in città, questa volta però nella centralissima Galleria Principe, intorno alle nove, con l’area aperta ai passanti, alcuni calcinacci cadono e colpiscono (infrangono) alcune vetrate della volta. Non si registrano danni né feriti (il che è già qualcosa) ma nel mirino torna, pure qui, la manutenzione: «Mentre facciamo i conti con la tragedia di Scampia», osserva infatti Severino Nappi, il capogruppo della Lega in regione, «alla Galleria si veridica un crollo che solo per caso non ha prodotto vittime. È evidente che c’è un filo conduttore drammatico, si ripetono ciclicamente episodi tragici e non cambia il tenore di una gestione del patrimonio immobiliare che risulta assolutamente insufficiente e manchevole da parte delle amministrazioni comunali di sinistra che, da oltre trent’anni, si alternano alla giuda» della città.