Un tanto al chilo

Autonomia, la sinistra dà i numeri sul referendum: Pagnoncelli-Noto, cifre in libertà

Sandro Iacometti

Chissà, forse riportando all’ovile la pecorella smarrita Matteo Renzi, il fronte referendario potrebbe riuscire nell’impresa di portare gli italiani alle urne e di farsi bocciare il quesito. Quando si votò per la riforma costituzionale voluta dall’ex premier, nel dicembre del 2016, il quorum, essendo un referendum confermativo, non era necessario, ma l’affluenza fu del 65,47% e i voti contrari il 59,12%. Scenario difficilmente ripetibile nella campagna contro l’autonomia differenziata lanciata dall’accozzaglia di sinistra che comprende tutto il fronte anti-Meloni, dai sindacati ai grillini fino all’estrema sinistra - disperatamente a caccia di qualcosa che possa unire, mascherando le profonde divergenze politiche dello schieramento.

Volendo restare coi piedi per terra, l’affluenza ai seggi nelle ultime elezioni europee è stata del 49,69%, il livello più basso mai raggiunto in questo tipo di consultazioni. Il centrodestra, schierato abbastanza compatto a favore di una riforma che peraltro è stata introdotta nella Costituzione dal centrosinistra, ha preso oltre il 47% dei consensi. Ora, come è possibile ipotizzare anche astrattamente che, con queste percentuali, e dando per scontato che la maggioranza di governo inviterà i suoi elettori a non recarsi alle urne, possa essere raggiunto il quorum?

 

Uno scenario realistico è quello descritto da Nando Pagnoncelli sul Corriere della Sera di ieri. Il sondaggista spiega che il no alla riforma è in vantaggio con il 58% e che, come è ovvio che sia dopo il tormentone sullo spacca Italia ripetuto incessamente dalla sinistra e dai giornali amici, il maggior numero di contrari si trova nel Mezzogiorno. Ma per quello che riguarda l’intenzione di recarsi alle urne e apporre il proprio voto sulla schea, secondo le rilevazioni di Pagnoncelli solo il 33% del campione si dice sicuro di partecipare al referendum abrogativo.

«I guerrieri vittoriosi prima vincono e poi vanno in guerra, mentre i guerrieri sconfitti prima vanno in guerra e poi cercano di vincere», diceva Sun Tzu. Il che vorrebbe dire che quella messa in atto dal centrosinistra o è una follia o è una mossa propagandistica che non ha lo scopo di ottenere un risultato positivo, ma di puntellare un campo largo che fa acqua da tutte le parti. Ma se la sceneggiata deve essere fatta, che ci sia almeno una parvenza di credibilità.

Ed ecco allora, per dare una provvidenziale mano, un bel sondaggio che non consente affatto di cantare vittoria, ma perlomeno di fare un buon titolo sul quotidiano che da mesi annuncia l’apocalisse con l’entrata in vigore della rifoema. «Quorum alla portata grazie al Sud. E anche gli elettori di FI bocciano la riforma», si legge su Repubblica di ieri. Come dire: il tempo che i leader stanno perdendo nei banchetti in giro per l’Italia non è una presa per i fondelli degli elettori, mala chiamata alle armi per una battaglia per la democrazia, l’ugugaglianza, l’equità e il riscatto del Sud che può essere vinta. In soccorso arriva Antonio Noto, persona indubbiamente seria che guida l’omonimo istituto dei sondaggi, secondo cui sarebbe pronto ad andare alle urne addirittura il 55% degli italiani. La formula esatta utilizzata da Noto è che tale percentuale «ha intenzione di votare il referendum sull’autonomia regionale».

Che è cosa ben diversa dal 33% che secondo Pagnoncelli dichiara «certamente sì». Nel sondaggio del Corriere, infatti, compare anche l’ipotesi «forse sì», scelta dal 26% del campione. I numeri, utilizzando la cautela e un po’ di buon senso, potrebbero anche tornare. Ma per Repubblica non ci sono dubbi. Il quorum è a portata di mano. E un aiuto arriverà dagli elettori di Forza Italia, che non solo, a differenza di come fanno di solito da decenni, correranno alle urne per far pesare il proprio voto, ma bocceranno senza appello la riforma.
Insomma, «si può fare», come diceva Gene Wilder in Frankstein Junior.

Peccato che tra la strepitosa pellicola di Mel Brooks e l’esito della campagna referendaria del centrosinistra allargato, che dopo la foto di rito davanti alla Cassazione si è anche reso conto di non aver scritto bene i quesiti, c’è di mezzo la realtà. Che non solo rende assai complesso portare alle urne gli italiani che non votanti più neanche per i loro rappresentanti, ma che potrebbe sfornare una concente delusione anche sull’ammissbilità dei referendum. Quello totalmente abrogativo è assai difficile, trattandosi di una legge prevista dalla Costituzione e rischiando di creare un vuoto normativo, che venga ammesso. Quello parzialmente abrogativo, stando a quanto dicono i Cinquestelle, non disinnescherebbe del tutto la mina. L’importante, per ora, è dare i numeri: 33 o 55?