Rosso stinto
Sinistra, quei socialisti ridotti a manovali dei compagni
L’ex ministro Andrea Orlando, frai più a sinistra nella geografia del Pd anche di Elly Schlein, ha commentato i risultati delle elezioni anticipate francesi, volute al tavolo da poker dal presidente Emmanuel Macron dopo la paura procuratagli dalla destra nelle elezioni europee del mese scorso, dichiarando che «la parola socialismo spaventa solo in Italia». Nella nostra Italia, non so se pure di Orlando, dove gli sprovveduti elettori alla sinistra nelle varie edizioni fotografiche che si avvicendano da una ventina d’anni, compresa l’ultima appena scattata sotto la statua romana di Cavour, e davanti alla Cassazione, preferiscono Giorgia Meloni e alleati di centrodestra.
Ma i socialisti, di grazia, a parte quelli radicali del pomodoro assemblati con i verdi di Angelo Bonelli, dove stanno nella sinistra italiana decantata da Orlando ed equiparata al fronte popolare in festa oltralpe? Me lo chiedo con tristezza e inquietudine accresciute col drammatico racconto della loro fine fatto domenica sul Corriere della Sera da Enrico Boselli. Che nel 1993 stette sul punto di succedere a Bettino Craxi, dimessosi da segretario del Psi dopo il coinvolgimento anche formale nelle indagini su Tangentopoli. E dopo che il coinvolgimento solo mediatico, presunto e quant’altro gli avevano già precluso il ritorno a Palazzo Chigi concordato con la Dc di Arnaldo Forlani.
PROPOSTA INDECENTE
Boselli, che per sette anni da quel torrido 1993 aveva cercato ostinatamente di fare sopravvivere il Psi a se stesso in vari modi e formule, si sentì invitato nel 2000 a Palazzo Chigi da Giuliano Amato, che vi era tornato su designazione di Massimo D’Alema succedendogli, dopo esservi già stato fra il 1992 e il 1993 su designazione di Craxi. Che lo aveva sperimentato fra il 1983 e il 1987 come suo sottosegretario alla presidenza del Consiglio. Accompagnato da Roberto Villetti, già direttore dell’Avanti!, Boselli si sentì proporre dal suo amico ed ex compagno di partito, avvertendo la provenienza dalemiana dell’invito, di rinunciare al progetto di un rinnovato partito socialista per unirsi e confondersi nei post-comunisti reiscrittisi all’anagrafe come democratici di sinistra. Cosa peraltro che neppure Amato aveva ritenuto di fare, bastandogli il gradimento, la stima e quant’altro di D’Alema per conservare l’agibilità politica pur essendo stato il braccio destro di Craxi. Un’agibilità che lo avrebbe poi portato sulla soglia del Quirinale e infine alla Corte Costituzionale, prima come giudice e infine come presidente, ora e a vita emerito.
Boselli alla prospettiva di guadagnarsi qualche altro mandato parlamentare fra i democratici di sinistra preferì la solitudine del socialista alla memoria. E non avremmo probabilmente più sentito parlarne se non se ne fosse ricordato Francesco Verderami, del già citato Corriere, convincendolo a raccontarsi. O, meglio, a raccontare la storia della scientifica operazione di annientamento politico dei socialisti italiani condotta dai loro fratelli o cugini, come preferite. Un’operazione dal sapore un po’ anche razzistico. Del resto, appartiene alla storia e letteratura comunista la liquidazione dei socialisti come socialtraditori, persino peggiori dei fascisti. Utili ai fronti popolari di turno come manovalanza. Anche il povero Giacomo Matteotti prima di essere ucciso dai fascisti era incorso un secolo fa negli attacchi e nelle derisioni dei comunisti. I guai della sinistra, alternati alle loro feste, nascono anche da questa sua natura cinica.