Equilibri instabili

M5s, Grillo frega Conte, la mossa estrema: richiama anche gli espulsi

Pietro Senaldi

Grillo si è guardato allo specchio e ha deciso: il Movimento Cinquestelle deve ripartire dai mostri, politicamente parlando, s’intende. I suddetti sarebbero quella quarantina di grillini espulsi perché si rifiutarono di sostenere il governo di Mario Draghi. Ma come, non era stato l’Elevato, in quell’inverno del suo scontento del 2021 che sta perdurando fino all’estate del 2024, a sdoganare il super tecnico, dichiarando testuale che «mi aspettavo un banchiere, ma poi ho scoperto che anche lui è dei nostri, mi ha pure chiesto se può iscriversi...»?
Certo che era stato Beppe, ma mica si può pretendere coerenza da un comico che ha fallito come capocomico. 


Alla base dell’ultima uscita del fondatore ci sono due questioni politiche e una personale. Innanzitutto bisogna riconoscere che Grillo non ha mai sopportato l’avvocato del Popolo, «che davivo prende meno voti di Berlusconi da morto», l’ultima carineria riservata dal guru barbuto al leader di M5S. Glielo fecero digerire Roberto Fico e Luigi Di Maio, esattamente tre anni fa, i quali non volevano gestire la patata bollente di un movimento incastrato nella scatoletta di tonno di un esecutivo ammucchiata, la negazione stessa dei valori del partito anti-casta. L’elevato doveva partire per le vacanze e fece buon viso a cattivo gioco, ma non se lo è mai perdonato e da allora spara di continuo contro l’uomo a cui ha dato le chiavi della sua creatura, sottostimandone l’astuzia.

 


L’AUTOGOL DI BEPPE
Poiché Grillo ha l’intelligenza politica di un crotalo, pur disprezzandolo, è stato lui a fare il più grande favore al due volte premier. Mentre i suoi ragazzi scalpitavano per far saltare la regola del limite dei due mandati, il garante l’ha posta come condizione irrinunciabile per il suo appoggio. Risultato: ha spazzato via tutti i volti noti che potevano disturbare l’avvocato, consegnandogli il partito come padrone assoluto. Ed è questa la seconda questione politica in ballo, le poltrone, lo stipendio da parlamentare, le prebende, quelle cose alle quali gli anti-casta si attaccano morbosamente quando le provano. Non solo i cosiddetti mostri tipo Lezzi, Lannutti, Morra, Villarosa spingono per tornare in gioco e ottenere un’amnistia dal fondatore, che chiamano costantemente parlandogli male di Conte, certi di infilare la loro lingua velenosa come un coltello nel burro. Ci sono anche i vari Fico, Toninelli, Crimi, Lombardi, i quali fanno lo stesso lavoro, sibilando veleno all’altro orecchio del fondatore; perché è chiaro che, se il limite ai mandati salta per qualcuno, allora salta per tutti, anche per la seconda generazione, quella degli Appendino, Gubitosa, Baldino, il patriota Donno, che non hanno troppa voglia di cedere il passo. Ormai Grillo ha più grillini che lo assillano per essere salvati di quanti spettatori non vadano alle sue performance teatrali.

LA SPADA GIUDIZIARIA
C’è poi la questione personale, che è tragica e merita il massimo rispetto. Entro fine anno il Tribunale di Tempio Pausania dovrebbe emettere la sentenza di primo grado nei confronti di Ciro, il figlio del fondatore di M5S e dei suoi tre amici, accusati di stupro. È un processo molto difficile per la difesa e una condanna al figlio, ancorché non definitiva, sarebbe la morte politica del padre, che deve organizzarsi per tempo se vuole evitarla. Della squadra di Conte nessuno ha l’aria di volersi immolare per il ragazzo. Ecco che allora sul capo debole e intimorito si alzano in volo gli avvoltoi, fintamente disinteressati e preoccupati per le sorti del Movimento. La tattica è truccare da disfatta irreparabile, figlia dell’incapacità di Conte, la sconfitta delle Europee, che in realtà era annunciata, prevedibile e finanche in linea con la storia dei grillini, che a giugno hanno perso il 30% dei voti ma cinque anni fa, quando erano la prima forza di governo, ne lasciarono sul campo il 50%, e cinque anni prima ancora, alla vigilia del grande boom, il 20%.

DOV’É GIUSEPPI?
Cosa accadrà? Il dato di fatto incontrovertibile è che la metà dei voti grillini sono tornati all’astensionismo, un 20% se li è ripresi la destra e Conte è rimasto sotto choc per aver perso il primo tempo della sfida con Elly Schlein per la leadership della sinistra. Da un mese l’avvocato è sparito, si è eclissato al punto che in molti sono convinti che, quando riemergerà, dovrà pure inventarsi qualcosa. Un nuovo partito? Difficile, M5S è già il partito di Conte. Più facile nuovi temi da cavalcare, ma serve strategia politica e non equilibrismo tattico. Più che dagli amnistiati da Grillo, il leader sembra però preoccupato dal sodalizio tra Alessandro Di Battista e Virginia Raggi. La loro creatura, “Schierarsi”, già nel nome è una minaccia per il situazionista di Volturara Appula. La nuova coppia di vecchie facce sembra più credibile dell’ammucchiata dei reietti rivalutati. Se non altro perché, per tornare, i due hanno fatto un percorso politico proprio, non hanno bussato alla porta di un uomo ormai in preda a fantasmi, rimorsi e preoccupazioni superiori rispetto al destino della sua Armata Brancaleone.