Bufale pugliesi

Il G7 "alternativo" dei media progressisti

Fausto Carioti

Tra i meriti del vertice G7 che si è appena concluso, c’è quello di aver mostrato la differenza tra gran parte della stampa italiana e i giornali del resto del mondo civile. Identico evento: sette leader che firmano un documento nel quale stavolta c’era persino una notizia vera, l’annuncio dell’intesa che renderà disponibili per l’Ucraina «circa 50 miliardi di dollari, sfruttando i ricavi straordinari degli asset sovrani russi immobilizzati, inviando un segnale inequivocabile al presidente Putin».

Sul palcoscenico, assieme ai Sette, un papa che per la prima volta interviene in un evento del genere e lo fa per parlare dell’intelligenza artificiale, la grande rivoluzione tecnologica della nostra epoca. E poi molti comprimari che tali non sono, dal primo ministro indiano Narendra Modi all’argentino Javer Milei. Tanta carne al fuoco e centinaia di giornalisti che stavano lì per assaggiarla e descriverla. Eppure, due racconti diversissimi.

Per certa stampa nostrale, il governo in carica non può che uscire isolato e/o sconfitto da qualunque appuntamento internazionale. E se la realtà non si adatta a questo schema, se ne costruisce una alternativa, tagliata su misura delle ossessioni della testata fiancheggiatrice e della sinistra fiancheggiata. Si toglie importanza ai buoni risultati ottenuti dall’esecutivo, si gonfiano o creano di sana pianta episodi di segno contrario, anche a costo di andare contromano rispetto al resto del giornalismo mondiale. Con i giornali degli Elkann sempre un passo avanti agli altri.

 

 

«L’Italia frena sui diritti» è il riassunto del G7 pugliese che La Stampa fa in prima pagina. L’assenza di riferimenti all’aborto e alla «identità di genere» nel documento finale sarebbe la conferma di quanto reazionario e pericoloso sia il governo italiano (delizioso il corto circuito, nella stessa pagina, con la rubrica di Mattia Feltri, il quale ricorda che «il diritto all’aborto, che suona tanto ovvio, non esiste», e infatti non compare né nella legge 194 né nella Costituzione francese, «al contrario di quanto si continua sventatamente a sostenere»). Storia simile su Repubblica, che racconta di una «Battaglia tra leader sui diritti Lgbtq+», con Meloni da una parte e tutti gli altri - quelli buoni - contro.

E poi, appunto, c’è il resto della stampa occidentale, che non avendo l’obbligo contrattuale di accusare il governo italiano di ogni crimine politico, descrive un altro G7.

«VICTORY FOR MS. MELONI» - Per il New York Times, roccaforte statunitense dell’informazione liberal, che da noi si traduce con «progressista», la notizia da Borgo Egnazia è che «Il G7 allarga il suo cerchio concentrandosi sempre più sul Sud globale. In cerca di aiuto per il contenimento della Cina, le questioni climatiche e la migrazione». La vicenda dell’aborto merita poche righe: «Con una vittoria per la signora Meloni, conservatrice contraria all’aborto, il comunicato non include un riferimento esplicito all’aborto». Questo, scrive la testata americana, aveva causato «una breve nota discordante» tra Meloni ed Emmanuel Macron, ma «gran parte dell’incontro ha messo in evidenza l’armonia tra i leader» ed è servito alla premier per «attirare l’attenzione su numerosi dei suoi problemi interni», in particolare quello dell’immigrazione illegale. Un successo italiano, insomma.

 

 

Anche chi enfatizza il ruolo di Meloni nell’evitare che l’aborto fosse citato nel documento conclusivo (come fa lo spagnolo El Mundo: «Meloni lascia la sua impronta sul G7») narra la storia per quello che è stata: una delle discussioni, normali in simili vertici, tra leader che hanno culture e idee diverse, per di più su un tema secondario e finita comunque con la vittoria dell’italiana. Senza scontri né tragedie: richiamare la dichiarazione del vertice G7 dello scorso anno, in cui i Sette si impegnavano ad «affrontare l’accesso all’aborto sicuro e legale e alle cure post-aborto» (che è cosa diversa dal «diritto all’aborto»), ha messo tutti d’accordo.

Nessuna testata straniera scrive di «battaglie tra leader»: né sui diritti Lgbtq (peraltro ampiamente citati nel documento finale), né su altro. In Germania la serissima Frankfurter Allgemeine Zeitung, di area conservatrice, dipinge per i suoi lettori una «Meloni al settimo cielo», che «mantiene abilmente unita la coalizione di destra al governo». E indica nelle riforme che attendono di essere approvate il vero problema della premier.

La Süddeutsche Zeitung, di tendenza progressista, spiega che «il vertice in Puglia sarà ricordato per le decisioni importanti che sono state prese, come ad esempio il finanziamento dell’Ucraina attraverso un’idea interessante: prendere 50 miliardi di dollari non dai bilanci nazionali, creando così ulteriori problemi, ma come prestito sui mercati finanziari internazionali, e compensare gli interessi da pagare con quelli generati dai beni russi congelati. Putin, in un certo senso, pagherà parte dei costi di guerra dell’Ucraina: è alquanto geniale».

Stessa analisi che in Francia fa Le Monde, titolando sul «G7 pronto a rafforzare il sostegno finanziario all’Ucraina» ed evitando di accreditare il racconto del governo di Roma che calpesta i diritti. È un quotidiano orientato a sinistra, ma non al punto da seguire i suoi cugini italiani sulla strada delle bufale pugliesi.