Veti su veti

Come è antidemocratico escludere l'avversario politico

Corrado Ocone

"Mai con Le Pen!". Quante volte abbiamo ascoltato questa espressione in questi giorni! Non solo a sinistra, ma anche nell’area moderata. Quasi sempre alla perentorietà del dettato non segue una argomentazione che lo motivi, né tanto meno una attenta disamina di eventuali punti programmatici giudicati “inaccettabili”.

Nessuno, ad esempio, si è preso la briga di capire su quali basi sia stato siglato in Francia dai gollisti un accordo con il Rassemblement National. I giornaloni, ad esempio, non hanno avuto dubbi: il patto è semplicemente “vergognoso”, a prescindere. Come si spiega una tale reazione? Perché questo riflesso pavloviano, incondizionato?

Io credo che si tratti di un residuo ancora forte di un’altra età, quella in cui ha predominato la politica ideologica, che, come è noto, è l’esatto contrario di una politica democratica, e anzi della politica tout court. C’è stato un tempo, assolutamente da dimenticare, in cui l’avversario politico era da considerarsi un nemico assoluto, l’Assolutamente Altro, per dirla nel gergo filosofico. La sua alterità non era limitata all’ambito politico ma investiva la sfera morale.

 

 

Anzi persino antropologica. Esso era dipinto come un essere sub-umano, “impuro”, e quindi anche irredimibile. La lotta politica assumeva perciò le fattezze di una “guerra civile” permanente, di un conflitto ove si pensava che alla fine solo uno dei due contendenti sarebbe rimasto in vita. Tutt’altra cosa sono invece da considerasi sia la politica sia la democrazia, le quali si fondano rispettivamente sul logos e sulla mediazione. Esse presuppongono che gli avversari si riconoscano ed ascoltino a vicenda in modo che, attraverso la normale dialettica politica, le idee dell’uno abbiano la meglio su quelle dell’altro. Oppure che fra di esse si raggiunga un compromesso in un punto di equilibrio buono per entrambi.

La politica ideologica ha raggiunto il proprio acme, come è noto, nel Novecento, che non a caso è stato un secolo generalmente avverso alla democrazia e costellato di non poche e immani tragedie causate dal potere politico. Si obietterà: ma non è forse proprio il partito della Le Pen erede di quella tradizione? La prima considerazione da fare per rispondere a questa domanda concerne il ben noto doppio pesismo a cui spesso si assiste in queste faccende: perché alla destra non si vuol concedere ciò che è stato concesso alla sinistra, anch’essa in buona parte erede della deleteria politica novecentesca ma pienamente legittimata oggi a governare? Perché si è ammesso che solo essa si sia evoluta e abbia accettato le regole della democrazia?

Certo, che la sinistra abbia smussato col tempo i suoi conati rivoluzionari è un bene per tutti. Tuttavia; la democrazia, che è inclusiva per definizione, non dovrebbe gioire al solo fatto che altri attori, tenuti fuori dalla porta, oltrepassino ora l’uscio di casa? Ci si rende conto che non c’è nulla di più antidemocratico che erigere “cordoni sanitari”, come vorrebbe ancora fare Macron? Che ciò è soprattutto antidemocratico perché se ne infischia del giudizio espresso dagli elettori e di quello che è il sentimento comune a una parte maggioritaria del Paese?

 

 

In sostanza, si può dire che, se oggi esistono residui della precedente mentalità, essi sono rintracciabili soprattutto a sinistra o al centro, come l’ultimo “mai con” sta chiaramente a dimostrare. Che la più parte dei partiti che compongono quelle che vengono oggi spregiativamente chiamate “le destre” siano non solo coerentemente inseriti nel gioco democratico, ma abbiano una visione della politica assolutamente non ideologica è tanto evidente che solo una congenita “malafede” può metterlo in dubbio. Gli elettori se ne sono accorti e, essendo generalmente più saggi di chi vorrebbe parlare in loro vece, hanno premiato la destra in maniera massiccia, in occasione delle recenti elezioni europee ma anche in precedenti tornate elettorali nazionali. Lette oggi, a quasi due anni dall’insediamento del governo Meloni, le prese di posizione catastrofiste della vigilia sulle sorti della democrazia italiana sembrano a tutti semplicemente ridicole.

Un’obiezione potrebbe sorgere a queste mie riflessioni: ammettere che in politica tutto sia possibile, anche quello che ieri non lo era, che perciò non bisogna "mai dire mai", non giustifica l’incoerenza e il trasformismo? Bisogna scansare ogni equivoco: la coerenza del politico si misura non in astratto, come fedeltà astorica a certe ideali, ma nella concreta capacità di testimoniare le sue idee nelle particolari condizioni storiche e tenendo conto dei rapporti di forza. Dare addosso a Eric Ciotti, il presidente dei Républicains, perché avrebbe “tradito” De Gaulle non fa i conti con la storia. Probabilmente il Generale, da coerente democratico qual era, nel mettere all’angolo un partito che oggi non c’è più, quello di Le Pen padre, auspicava proprio che prima o poi quell’elettorato allora "nostalgico" fosse riconquistato ad un progetto autenticamente conservatore. Se è così, la storia gli ha dato ragione.