L'intervista
Ilaria Salis, Antonio Tajani: "Merito dell'ambasciata e di chi non ha alzato i toni"
Quando Antonio Tajani risponde al telefono, la notizia dell’attentato a Robert Fico ha appena fatto il giro del mondo e il premier slovacco è in sala operatoria. «È molto preoccupante che sul suolo europeo il capo del governo di un Paese Ue subisca un attentato e sia ferito in modo così grave. Bisogna capire bene quale è la matrice del gesto, se si tratta un attacco terroristico o meno. Il fatto che sia avvenuto in un contesto internazionale complicato come quello attuale basta ad alzare di molto il livello d’allarme», commenta a caldo il ministro degli Esteri e segretario di Forza Italia.
È anche la giornata in cui il tribunale del riesame ungherese ha concesso gli arresti domiciliari all’italiana Ilaria Salis, che dunque potrà uscire dal carcere. A sinistra dicono che è merito loro, che «urlare ha fatto bene».
«Se questa prima parte della vicenda si è risolta positivamente, con la concessione degli arresti domiciliari, non è certamente grazie all’innalzamento dei toni o alla propaganda elettorale. In casi simili il lavoro discreto conta più del rullo dei tamburi e delle urla. Adesso Ilaria Salis sarà agli arresti domiciliari e io mi auguro che possa essere assolta. Intanto il ministero la sta facendo iscrivere all’Anagrafe degli italiani residenti all’estero, affinché possa votare».
Questo «lavoro discreto» chi lo ha portato avanti?
«La nostra ambasciata, fin dall’inizio, in decine di incontri, ha tenuto rapporti positivi con le autorità ungheresi, ferme restando le nostre proteste per il trattamento subito da Ilaria Salis, soprattutto durante il trasferimento in aula dal carcere. Quelle immagini non ci sono piaciute e le nostre rimostranze sono state fatte più volte. Senza mai smettere di dialogare, però, senza minacciare. E i risultati sono arrivati».
Ci sono possibilità che Salis possa scontare gli arresti domiciliari in Italia?
«Intanto deve uscire dal carcere e dovrà essere pagata la cauzione. Spetterà poi ai suoi avvocati presentare la richiesta per farle fare i domiciliari in Italia, e se la richiesta sarà accolta potrà tornare».
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Chi pagherà la cauzione?
«La sua famiglia. Se ne sta occupando il padre, correttamente. Non hanno chiesto nulla».
In Florida un altro cittadino italiano, Matteo Falcinelli, accusa la polizia di Miami di averlo maltrattato e torturato. Che ha fatto la Farnesina nel suo caso?
«Abbiamo assistito lui e la sua famiglia, come facciamo con ogni italiano. Quando abbiamo visto le immagini del trattamento che aveva subito abbiamo protestato e chiamato l’ambasciata degli Stati Uniti.
E devo dire che l’ambasciata e il Dipartimento di Stato sono stati molto disponibili, hanno offerto grande collaborazione e compreso le preoccupazioni nostre e della famiglia. Occorre distinguere tra gli Stati Uniti e gli agenti che hanno arrestato il giovane Matteo».
Nel suo caso come si è comportata la famiglia?
«In modo molto corretto e responsabile. La madre non ha mai fatto un attacco agli Stati Uniti. Il ragazzo ha detto che vuole continuare a studiare lì, anche lui ha mantenuto un atteggiamento positivo. Ovviamente è rammaricato, ancora sofferente per il trattamento che ha ricevuto. Anch’io sono rammaricato».
Il governo italiano sarà in qualche modo parte civile contro gli agenti?
«No. Noi abbiamo assistito il giovane e ci siamo messi a disposizione della sua famiglia. Ho incontrato gli avvocati e dato tutte le informazioni utili per tutelare il ragazzo. Decideranno loro se fare o no una causa contro gli agenti».
Cambiamo argomento, ministro. In Ucraina, l’impressione è che le difese di Kiev stiano cedendo all’offensiva russa, nella sostanziale indifferenza occidentale e soprattutto europea.
«È un’impressione del tutto sbagliata. Stanno arrivando gli aiuti americani e arriveranno anche quelli europei. Ma tra mandare gli aiuti e andare a combattere lì c’è una bella differenza. Gli aiuti militari sono per permettere all’Ucraina di difendersi. Mandare i nostri soldati significa fare la guerra contro i russi. Noi non siamo in guerra con la Russia, né vogliamo farla. Vogliamo soltanto difendere l’indipendenza dell’Ucraina».
Anche lei, come il resto del Partito popolare europeo, vuole che dopo il voto ci sia un commissario Ue alla Difesa?
«Assolutamente sì. È fondamentale avere una difesa europea e serve un commissario che prepari il terreno. Guardiamo la missione Aspides, che io considero già un’operazione di difesa europea: il 27% delle navi che abbiamo protetto batteva bandiera italiana, però la percentuale reale è molto più alta, perché vanno aggiunte le navi gestite da società italiane, ma battenti bandiere di altri Stati. Abbiamo tutelato l’interesse nazionale e l’interesse europeo».
All’orizzonte cosa c’è? Un esercito comune che sia la “gamba europea” della Nato?
«L’esercito unico europeo deve essere l’obiettivo finale, ma ci vorrà tempo. Siamo nella fase iniziale, bisogna partire coordinando al meglio le politiche nazionali, il settore della produzione industriale, gli acquisti. Spendiamo per la difesa un terzo di ciò che spendono gli Stati Uniti, ma di certo non rappresentiamo una forza militare pari a un terzo di quella degli Stati Uniti».
Segno che qualcosa non funziona.
«Appunto. Dobbiamo lavorare non in contrasto con la Nato, ma per rafforzare il peso dell’Europa all’interno dell’Alleanza. Chiediamo sempre agli Stati Uniti di intervenire, invece dobbiamo iniziare a capire che è necessario essere in grado di difenderci da soli».
Significa portare la spesa per la difesa al 2% del Pil, l’Italia oggi è all’1,4%: una dozzina di miliardi di euro di differenza.
«Io sono favorevole ad andare verso il 2% di spese militari, includendo però le spese per le nostre missioni internazionali di ogni tipo: servono a garantire la sicurezza dell’Occidente e dunque sono perfettamente in linea con gli obiettivi della Nato».
La guerra a Gaza, intanto, pare destinata a durare molto più a lungo di quanto l’Europa credesse.
«Ho appena finito di parlare con il ministro degli Esteri israeliano, Israel Katz. Gli ho detto di non attaccare Rafah e gli ho annunciato una lettera mia e dei ministri degli Esteri di Gran Bretagna, Canada, Francia, Germania, Giappone, Svezia, Finlandia, Danimarca e Australia. Chiediamo il via libera all’intervento umanitario nella Striscia di Gaza e ci esprimiamo a favore del cessate il fuoco e contro l’attacco a Rafah. Naturalmente vogliamo anche la liberazione degli ostaggi israeliani».
E cosa ha risposto il ministro degli Esteri israeliano alla vostra richiesta di non attaccare Rafah?
«Ha ascoltato».
La richiesta di rilasciare gli ostaggi va rivolta ai palestinesi.
«Va rivolta ad Hamas, che li ha rapiti. Ma, anche per favorire un confronto con Israele, noi dialoghiamo con l’Autorità nazionale palestinese: abbiamo invitato a Roma il ministro degli Esteri di Ramallah, sarà qui entro la fine del mese. Sappiamo quanto sia difficile, ma stiamo facendo tutto il possibile per raggiungere l’obiettivo dei due popoli e due Stati».