Una partita politica
Giovanni Toti arrestato, assist delle toghe alla sinistra: sullo sfondo c'è il voto
Il governatore della Liguria e fondatore di Cambiamo, Giovanni Toti, ai domiciliari. Il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, pubblico ministero per quattro decenni, si è dichiarato “perplesso” sulla tempistica, visto che, in attività, lui molto raramente, se non mai, ha arrestato qualcuno che era sotto la sua lente da anni. Pericolo di fuga, di reiterazione del reato o di inquinamento delle prove, sono i presupposti per una misura tanto grave. Allusione al solito tema della giustizia a orologeria, visto che tra meno di un mese si vota?
Gli ha risposto indirettamente il magistrato che guida l’inchiesta, il procuratore Nicola Piacente, spiegando che la richiesta dei fermi al giudice delle indagini preliminari data la fine dell’anno scorso. È però la stessa giudice che ha firmato gli arresti, Paola Faggioni, a smentire in parte il procuratore, scrivendo nell’ordinanza di fermo che «sussiste il pericolo che il governatore possa utilizzare la propria funzione per reperire finanziamenti in vista delle prossime elezioni, come già fatto in quelle precedenti».
Sul piatto dunque non sono le Europee di giugno. Questa inchiesta sconvolge il quadro politico e produrrà i suoi effetti sulle Regionali previste per il 2025. Toti accarezzava l’idea del terzo mandato, perché una legge della Liguria lo prevede e anche perché a Roma stanno cadendo molte delle pregiudiziali di alcuni partiti al via libera alla tripletta. Aveva raggiunto un potere enorme e un’incriminazione a piede libero non sarebbe bastata a fermarlo. Serviva un gesto a effetto, le manette, qualcosa che facesse del caso ligure una vicenda nazionale.
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GUIDA FORTE - A prescindere da come andrà l’inchiesta, Toti in Liguria ha fatto qualcosa di grande. Ha dimostrato capacità organizzative, mediatiche e amministrative insospettate. Quando è arrivato, non conosceva nessuno; in poco tempo ha formato una squadra, fondato un partito e il suo ufficio è diventato il centro imprenditoriale di una regione che, sotto la sua guida, si è risvegliata. Tutto il centrodestra e il tessuto produttivo, storicamente legato alla sinistra e rimasto senza riferimenti, gli si sono stretti intorno e la Liguria ha ripreso a viaggiare, puntando molto sulla ripresa della sua vocazione turistica. Per sostenersi, Toti ha messo in piedi un ufficio stampa che è la seconda impresa editoriale della Regione dopo il Secolo XIX. Ha aperto cantieri, preso decisioni, ha anche rotto le scatole.
Ha avuto una guida forte. Ha smontato il monopolio delle coop nella distribuzione, aprendo le porte a Esselunga. Ha finanziato la sanità privata per snellire le liste d’attesa. Ha dato molta, forse troppa, fiducia ai suoi collaboratori, fra i quali anche il capo di gabinetto, Matteo Cozzani, accusato di corruzione elettorale con l’aggravante mafiosa. Ha anche confermato alla presidenza dell’autorità portuale Paolo Signorini, l’unico tra gli indagati finito in carcere, che però era stato messo in quel posto dal ministro dei Trasporti Graziano Delrio (Pd), ai tempi del governo Renzi.
L’inchiesta ha decapitato la sua lista. Tra i 25 indagati ci sono anche un consigliere comunale e uno regionale dei suoi, Umberto Lo Grasso e Mimmo Cianci, più un ex, Stefano Anzalone passato ora al gruppo Misto. L’accusa è corruzione elettorale: affidamento di lavori in cambio di voti. Ora nel centrodestra si apre un baratro. Tutti si erano cullati nell’idea del terzo mandato e non si intuisce chi potrà prendere in mano la situazione. Roma è molto lontana, ancora più di quanto non lo fosse Toti dalla capitale. L’uomo forte del centrodestra in Regione è il braccio destro di Matteo Salvini al ministero, Edoardo Rixi, genovese, costretto dal segretario leghista nove anni fa a lasciare il posto proprio a Toti. Anche quello di oggi però non pare il suo tempo. Lui stesso non sarebbe più interessato, anche se avrebbe dalla sua il fatto di aver regolato i conti con la Procura genovese, che lo ha tenuto in ballo quattro anni con l’accusa di aver gonfiato i rimborsi spese, costringendolo anche a dimettersi da viceministro del governo gialloverde; peraltro il pm che lo ha messo in croce, Francesco Pinto, figura tra quelli che stanno indagando anche su Toti, oltre ad aver gestito il fascicolo dei famosi 46 milioni spariti della Lega.
Corsi e ricorsi in una procura che sembra avere un filo rosso che la tiene insieme. Anche Fratelli d’Italia non sembra avere il candidato in tasca. In Regione ha due assessori: Augusto Sartori, molto vicino al presidente del Senato, Ignazio La Russa, e Simona Ferro, alla prima legislatura, un avvocato approdata al partito dopo aver fatto politica come legale. Poi c’è il coordinatore, Matteo Rosso, che ha dichiarato che «non si possono escludere elezioni anticipate», anche lui vittima innocente dell’inchiesta sulla rimborsopoli in Regione, finito nei guai per una manciata di euro.
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TUTTI INSIEME - Forza Italia non è praticamente pervenuta, anche se un assessore del governatore oggi agli arresti porta un cognome illustre. Si tratta di Matteo Scajola, un civico ma anche una delle migliori intelligenze politiche del territorio, un uomo cerniera, nonché nipote dell’ex ministro berlusconiano.
Lavori in corso. Il fatto è che Toti teneva tutti insieme e aveva ottimi rapporti con tutti. Stava diventando una sorta di Luca Zaia in salsa ligure ma con una ricetta opposta: un multicolor anziché il monocolore. Più d’uno infatti sostiene che stesse lavorando ad allargare la propria maggioranza anche ai renziani e ad Azione, approfittando del fatto che parte della sinistra ligure è insoddisfatta della segreteria di Elly Schlein. Hanno lasciato i dem in 31, tra cui un consigliere regionale e uno comunale passati con Calenda, Cristina Lodi e Pippo Rossetti, entrambi molto vicini a Stefano Bonaccini.
COMPAGNI IN CRISI - Già, perché se il centrodestra è sconvolto dall’inchiesta e impreparato alla successione, anche la sinistra manca di unità. Il centrista Toti tra i dem moderati è più popolare di Elly ma anche del deputato forte della zona, il sindaco di Bogliasco, Luca Pastorino, il candidato più autorevole a meno che non voglia scendere in campo l’ex ministro Andrea Orlando, spezzino.
La difficoltà è il consenso. Toti ce l’aveva, sia dal punto di vista personale sia rispetto alla sua azione amministrativa, che si è fatta sentire. A sinistra sono in tanti a non volerci tornare, anche tra coloro che provengono da lì. La città è sotto choc, in perfetta sintonia con il clima che si respira nel Palazzo della Regione, in piazza Luigi Ferraris. «Toti si è allargato un po’ troppo» è il commento più negativo che si raccoglie, oltre a un caustico «non è ligure», di cui però ci si ricorda solo adesso. Più del mugugno però si avverte il disorientamento, come fosse caduto un monarca. Nessuno pensa che il governatore sia un corrotto e abbia usato la politica per arricchirsi. Troppo intelligente e troppo ambizioso per farlo.
Il solo a rallegrarsi è Ferruccio Sansa, il candidato sconfitto alle ultime elezioni, che da quattro anni punta l’indice sul sistema del governatore: «Non ne faccio una questione penale» afferma, «ma di opportunità politica e conflitto di interessi, perché ci sono imprenditori che finanziavano la fondazione di Toti e sono stati avvantaggiati dalla sua amministrazione». È il giorno della sua rivincita, ma quella di Sansa resta una voce isolata anche oggi, una sorta di Cassandra. Il Pd lo ha mollato da un pezzo, ritenendolo un giustizialista che arriva dal Fatto Quotidiano. In città non c’è voglia di credergli neanche questa volta che le carte gli fornirebbero qualche argomento. Ma non è detta l’ultima parola, l’inchiesta ha l’aria di volersi allargare parecchio. Forse per questo in tanti stanno zitti. Tra le carte, con l’accusa di corruzione elettorale con aggravante mafiosa è già finito anche un esponente della Cgil, Venanzio Maurici, prontamente scaricato. Si attendono per sviluppi le dichiarazioni di Signorini, quello che andava d’accordo con tutti.
Dalle suite di Montecarlo al carcere il salto è grande e in Procura ci si aspetta che canti. Questa vicenda viene vissuta nel centrodestra come il bilanciamento delle procure alla botta inferta il mese scorso dai pm al sistema Emiliano, in Puglia. Ma ci sono almeno due differenze: Toti non aveva spaccato la sua maggioranza e il centrodestra non sta usando l’inchiesta per regolare i suoi conti.