L'intervista

Matteo Renzi: "Il Pd non esiste più. Si scrive Schlein ma si legge Cgil"

Elisa Calessi

Matteo Renzi torna a girare l’Italia in treno. Ieri era in Campania. Domani sera sarà a Milano, al Teatro Dal Verme, da cui partì la campagna per le primarie del 2012. E la sfida non è certo meno complicata di allora. Dodici anni fa era scalare un partito che lo guardava di traverso (e non ha mai smesso). Ora è il sancta sanctorum dell’Europa, Bruxelles. In tutto questo, il fuoco amico arriva sempre dalla stessa parte: il Pd.

Si è arrabbiato perché Elly Schlein ha detto di voler firmare il referendum della Cgil contro il Jobs Act. Però questa posizione era già nella mozione con cui vinse le primarie. E nel 2015 scese in piazza contro quella riforma. In fondo è coerente, no?
«Il Pd ormai non esiste più o almeno non esiste quel grande partito riformista che aveva come stella polare il lavoro, la crescita, lo sviluppo e che è arrivato oltre il 40%. Adesso sono il partito delle tasse, delle manette e del reddito di cittadinanza. Si scrive Schlein, si legge CGIL. Ma non sono arrabbiato. Sapevamo bene che con Elly, come giustamente dice, si sarebbe spostata più a sinistra. Ma a me quello che sorprende non sono Schlein e le sue posizioni: a me sorprendono i riformisti del Pd».

 

 

 

Hanno commentato che la decisione di Elly non impegna il partito. Che ne pensa?
«Quella legge non solo creò oltre un milione di posti di lavoro e cancellò la vergogna delle dimissioni in bianco ma fu pensata, voluta, votata dal Pd. E che i riformisti - con l’eccezione della brava Marianna Madia, all’epoca responsabile lavoro- non abbiano altro da dire fa sorridere. Meglio per noi, comunque. Chi oggi è un moderato, un liberale, un riformista, vota per gli Stati Uniti d’Europa: se voti Pd, anche un candidato riformista, stai votando la sesta stella del Movimento Cinque Stelle».

Oggi è stato a Ercolano con il governatore della Campania Vincenzo De Luca. Cosa vi siete detti? Anche lui è contro il jobs act?
«Non ne abbiamo parlato. Abbiamo inaugurato una bellissima iniziativa culturale del sindaco di Ercolano Ciro Buonajuto e abbiamo visto una comunità felice in festa. Posso immaginare cosa pensi Vincenzo De Luca della leadership di Elly Schlein, ma non essendo come è noto un tipo particolarmente diplomatico se vuole dire qualcosa, lo dirà lui».

A proposito di riforme fatte dal suo governo, Meloni ha provato a copiarla con i 100 euro. In fondo dovrebbe essere contento: copiato persino dagli avversari...
«Giorgia Meloni per anni ha chiamato gli 80 euro una mancetta: ora, lancia i 100 euro. Apparentemente sembrano la stessa cosa, migliorata. Ma non è affatto così. I nostri 80 euro erano netti. I 100 della Meloni lordi. I suoi sono annuali, i nostri mensili. I suoi sono per certe categorie sotto una certa soglia, i nostri per tutti sotto una certa soglia. I suoi sono attivabili a richiesta, i nostri automatici. Ma anche sul resto Meloni è una delusione: dalle tasse, alla giustizia, al premierato non c’è sul campo una sola riforma. Un liberale, oggi, non può che votare Stati Uniti d’Europa».

Oggi Goffredo Bettini, in un colloquio con il Corriere della Sera, dice che il Pd dovrebbe allearsi con un partito di centro, ma non con lei e Calenda perché siete “respingenti” anche tra di voi. Cosa risponde?
«Questa idea di far fuori il centro è davvero geniale. È stata sperimentata con successo dallo statista Enrico Letta nel 2022: il risultato è che la coalizione della Meloni ha la maggioranza assoluta. Sono tecniche sadomasochiste per la sinistra che vengono apprezzate dalla destra. Che vince e ringrazia.
Fare a meno del centro è la stessa cosa che è stata sperimentata recentemente in Basilicata: se il Pd si fosse alleato con noi avrebbe vinto. Ha scelto i grillini e ha perso. Insomma: chi teorizza di fare accordi senza di noi perde. Goffredo Bettini si è auto nominato guru filosofico del Pd. Mi fa piacere per lui. Ultimamente tuttavia lo vedo più ferrato sulla vita politica thailandese che su quella italiana».

Mancano 33 giorni alle elezioni europee. Stati Uniti d’Europa e Azione sono le uniche liste a puntare nettamente sull’Europa. Però andate divisi. Non rischia di essere un terribile danno per entrambi?
«Noi della lista Stati Uniti d’Europa siamo accreditati ben sopra la soglia di sbarramento: faremo un grande risultato. Lo stesso non posso dire di altri. Ma la parola agli elettori: nel nostro simbolo troveranno un progetto, quello degli Stati Uniti d’Europa, in quello di Azione un cognome. Noi degli Stati Uniti d’Europa se saremo eletti andremo al Parlamento Europeo. Calenda, come Tajani, Meloni, Schlein, no. Candidarsi sapendo che se eletti non si andrà in Europa significa truffare i cittadini. È una vergogna».

 

 

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Qual è precisamente la proposta degli Stati Uniti d’Europa?
«Gli Stati Uniti d’Europa sono un progetto ambizioso. È chiaro che l’Ue, così come è, non può funzionare. Il mondo brucia e l’Europa non tocca palla. L’Europa non esiste in nessun dossier, è in mano ai burocrati che se va bene, non incidono. Se va male, si aggrappano alle ideologie dell’estremismo ambientalista e partoriscono il green deal, che non protegge l’ambiente ma distrugge i posti di lavoro. Noi proponiamo un’Europa più democratica, con l’elezione diretta del presidente della commissione, l’abolizione del diritto di veto che rende i Paesi ostaggio della volontà di pochi».

Mosca sta facendo esercitazioni nucleari. È solo un modo di mostrare i muscoli o è una minaccia reale?
«Sono preoccupato. Ogni gesto di escalation verbale crea tensioni. Ogni iniziativa anche solo a scopo di esercitazione equivale a dislocare mine sul cammino della pace. Per me la soluzione è insistere sulla strada della difesa comune europea con l’obiettivo ambizioso dell’esercito europeo ma attivando anche un vero canale diplomatico a cominciare dalla figura dello special envoy per la guerra Ucraina che io nominerei scegliendo tra veri leader come Merkel o Blair. Una proposta che feci il giorno dopo la criminale aggressione della Russia all’Ucraina, assieme ovviamente all’invio di armi per Kiev e alle sanzioni per Mosca».

Hamas ha annunciato di aver accettato la proposta di un cessate il fuoco. Israele accetterà? Ci avviciniamo a una soluzione?
«Io sono ottimista. La situazione nel Medio Oriente non è semplice. Ma i Paesi arabi moderati stanno giocando la partita in modo equilibrato e intelligente. E forse questa può essere davvero la volta buona di una pace che ci regali uno stato di Palestina e la sicurezza di Israele».

Cosa pensa delle proteste degli studenti che si stanno allargando in tutto il mondo, Italia compresa?
«Vedere studenti che dalla comodità della loro posizione inneggiano a dei territoristi, impediscono di parlare a chi non la pensa come loro, spargono antisemitismo, nei luoghi di cultura, desta forte preoccupazione. Ma è un fenomeno che ha delle radici profonde. È nelle università americane che è nata la cancel culture, densa di sentimenti anti occidentali. L’humus ideologico è lo stesso».