La parabola
Gianfranco Fini? Famiglia, fama e carriera: a Montecarlo si è giocato proprio tutto
Ha perso tutto a Montecarlo. Ora si può fare il punto sulla grande roulette della vita di Gianfranco Fini. Ora che il futuro dell’ex leader di Alleanza Nazionale è segnato (condanna di 2 anni e 8 mesi per “concorso morale in riciclaggio”, contro i 5 anni alla compagna e 6 al cognato e i 5 al suocero: quando si dice il senso della famiglia), fermo restando i doverosi appelli che gli riserva la giustizia degli uomini; bè, ora la domanda sorge spontanea. Com’è possibile che una casa a Montecarlo e la furia catastale d’un cognato abbiano distrutto l’intera architettura del conservatorismo moderno italiano? Ammettiamolo.
Ci fu un tempo in cui Gianfranco Fini, con quella lividezza da Giscard d’Estaing padano, godeva d’una fascinazione irresistibile e trasversale. Oltre alla destra antiberlusconiana e agl’imprenditori illuminati c’era- per dire- perfino Lidia Ravera, sinistra militante, che ne provava incanto; «una bottarella gliela darei», quasi scriveva «nel disordine estetico del Parlamento, tra pancette sedentarie e bocche sguaiate, la sua compostezza pensosa è elegante. Se fosse una donna Gianfranco Fini sarebbe una casalinga ispirata. Di quelle che, quando c’è da fare un po’ di pulizia lo capiscono prima degli altri. E buttano tutto per aria». Che infatti, cara Lidia, poi s’è visto. «Buttare per aria» è immagine pertinente. Fini ha buttato per aria un’esistenza.
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LA PROCURA E L’INFERNO
Il fatto che oggi la Procura di Roma per Fini e i suoi familiari allestisca l’inferno, be’, rende l’idea di quanto velocemente una luminosa carriera politica possa essere risucchiata nel buco nero d’una reputazione distrutta. Non occorre, oggi, infierire sulla cupa sorte di Fini. Il quale non senza ragione - continua a darsi pubblicamente e privatamente del «coglione» in riferimento alla «casa» stregata, mentre qualcuno lo vedeva vagolare, di notte, barba lunga e secchio della spazzatura in mano, inseguendo con lo sguardo d’un personaggio di Emile Zola la grandezza del passato. Hai voglia a dire, caro Gianfranco, che in quel 2010, «io non ho autorizzato la vendita dell’abitazione di Montecarlo a una società riconducibile a Giancarlo Tulliani. Quando ho dato l’ok non sapevo chi fosse l'acquirente», oppure «me ne vado più sereno di quello che si può pensare dopo sette annidi processi. Ricordo che per analoga vicenda una denuncia a mio carico fu archiviata dalla procura». Gianfrà. Uno può vivere nei ricordi finché vuole. Però la realtà politica è un’altra.
Al di là di tutte le vicissitudini, compreso il «Che fa mi cacci?» e la fondazione di Futuro e Libertà, la casa di Montecarlo è stata la vera tomba politica di Fini. La vendita di quell’abitazione - 45 metriquadri in Boulevard Principesse Charlotte- si deve al lascito erediterio della contessa Annamaria Colleoni ad An. La casa era stata acquistata da Giancarlo Tulliani attraverso società off-shore. Il Giornale –con l’attuale direttore del Tg1 Gian Marco Chiocci allora inchiestista- Libero e Panorama indagarono per mesi su quella ciclopica nefandezza. Fu una cosa enorme. Inizialmente il procedimento vide coinvolti anche altri personaggi shakespeariani, tra cui il “re delle Slot” Francesco Corallo. Secondo l’iniziale impianto accusatorio dei pm della Dda capitolina gli appartenenti all'associazione a delinquere «mettevano in atto, evadendo le tasse, il riciclaggio di centinaia di milioni di euro». Quel fiume di denaro, ripulito, veniva utilizzato da Corallo per attività finanziarie ma anche -pare- in operazioni immobiliari coi membri della famiglia Tulliani.
Poi la Casa di Montecarlo divenne grande romanzo pop, negli anni, compreso l’anno 2015; ossia quando l'immobile venne rivenduto dalla società proprietaria a un imprenditore svizzero a 1,3 milioni di euro, dopo essere stato messo in vendita alla cifra di 1,6 milioni di euro. La Procura di Roma, nel 2018, chiese il rinvio a giudizio per riciclaggio, sollecitando la condanna a 8 annidi reclusione per Fini, presente in aula, e 9 anni per la Tulliani. E 10 anni di reclusione, invece, per cognato e suocero. Da allora Fini ha perso tutto in quel gorgo: amici, incarichi, famiglia nel rapporto straziato con le figlie e la compagna che l’aveva manipolato lui consenziente. Fini ha distrutto il suo futuro da delfino berlusconiano (forse al posto di Tajani avrebbe potuto esserci lui. Forse). L’intera vicenda va avanti da 16 anni. Il tempo letterario in cui E.A. Poe elaborò La caduta della casa degli Usher. L’horror generato soltanto da sé stesso...
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