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Fausto Bertinotti, Pd e potere: "Cos'è la sinistra oggi", la bordata

Elisa Calessi

Raggiungiamo al telefono Fausto Bertinotti mentre, ci dice, sta per andare in Vaticano.

Perdoni la curiosità: ma a fare cosa in Vaticano?
«Un gruppo di studio sul lavoro».

Alla vigilia del Primo Maggio Fausto Bertinotti è invitato da Papa Francesco, nel cuore della Chiesa, a parlare di lavoro. L’intervista potrebbe già finire qui, essendoci già la notizia. Ma, approfittando del tragitto casa di Bertinotti-Vaticano, lo tratteniamo in una conversazione.

Il Primo Maggio è ancora la festa dei lavoratori o sono rimasti solo il concertone e le consuete polemiche?
«Il Primo Maggio è sempre stato un giorno di lotta e di festa. Oggi è più di lotta che di festa, dal momento che il lavoro è duramente colpito da un processo di ristrutturazione capitalistica».

 

 

 

Ma i lavoratori sono ancora al centro?
«Il punto è chi parla coi lavoratori. Io posso dire che, per quanto riguarda il sindacato confederale e di base, in questo momento c’è una campagna di assemblee dei lavoratori metalmeccanici per il nuovo contratto molto partecipata. Non è colpa dei lavoratori, né dei sindacati, se la politica non si occupa di loro».

Anche i partiti di sinistra non si occupano di loro?
«Noi arriviamo dopo 40 anni di una grande contro-riforma. Il nodo essenziale non è la sovrastruttura, ma la struttura. L’Italia non è più una Repubblica fondata sul lavoro. Luciano Gallino, tempo fa, parlando di questo nuovo ciclo, disse che si assisteva a un rovesciamento del conflitto di classe, per cui non erano più i lavoratori a lottare contro i padroni, ma i padroni, attraverso lo Stato, a lottare contro i lavoratori».

Insisto: perché, di fronte a questo rovesciamento, i partiti di sinistra non sono più stati capaci di dare voce ai lavoratori?
«C’è stata una sconfitta storica del movimento operaio. Di fronte a questo, la sinistra istituzionale ha risposto adattandosi al nuovo codice, cioè al primato dell’impresa».

E così, ora, non rappresentano più i lavoratori?
«Certamente. Ma non da ora. È dagli anni ’80, dalla sconfitta del movimento operaio, che questa frattura si è creata. Le politiche di concertazione e di adesione dei partiti all’impresa hanno portato alla separazione tra sinistra politica e mondo del lavoro».

Però Elly Schlein ha insistito tanto sul tema del lavoro.
«Ogni tanto c’è qualche ripresa di attenzione, qualche riaffiorare di temi, come la battaglia sul salario minimo. O, prima, il reddito di cittadinanza. Brandelli di rivendicazioni. Ma dentro un quadro di accettazione del primato del mercato. Ci rendiamo conto che l’Italia è attraversata da morti sul lavoro e che il lavoro è depredato?».

Schlein è andata fuori dai cancelli di decine di fabbriche. Non basta?
«Il punto è che nella sinistra politica manca una critica radicale a questo modello economico, sociale, ambientale rappresentato dal capitalismo».

Tanti operai continuano a votare a destra. Prima era la Lega, ora Fratelli d’Italia. Come se lo spiega?
«I lavoratori non hanno uno statuto speciale di lettura dei fatti. E il 50% non vota proprio. C’è un distacco totale da una politica che li ha penalizzati o è stata indifferente. Poi c’è una componente che prima votava Lega, ora FdI, perché vuole punire la sinistra, ritenendo che non abbia difeso abbastanza i lavoratori».

 

 

 

Quando si è rotto il legame tra lavoro e sinistra?
«Come dicevo prima, la crisi comincia 40 anni fa. La sinistra politica ha sostituito il valore fondativo del conflitto sociale con il problema della conquista del governo, dimenticando che il Pci, dall’opposizione, ha ottenuto le più grandi riforme sociali».

Anche i sindacati vivono una crisi di rappresentanza.
«Non c’è dubbio. Però io vedo segnali importanti. Le assemblee dei metalmeccanici hanno una partecipazione straordinaria. Il sindacato, certo, non è immune da errori che provengono da lontano, a cominciare all’accettazione della concertazione. Ha subìto il processo di istituzionalizzazione. Tanto è vero che i salari italiani sono i più bassi d’Europa, cosa che non era negli anni ‘70».

I non garantiti non trovano nel sindacato un punto di riferimento. Non crede?
«È vero. La precarietà, prima ancora la flessibilità, accettate dai partiti della sinistra e dal sindacato, sotto attacco del padronato, hanno portato alla realizzazione di una controriforma. Il sindacato, oggi, è di fronte a una grande sfida, quella di uscire dalla cornice del quadro istituzionale per riprendere le fila del conflitto sociale. Oggi il mondo del lavoro è colpito non solo dalle morti, ma da bassi salari e mancanza di tutele».

C’è chi considera il M5s la “vera” sinistra. Lei?
«Il M5s ha fatto una scelta importante, che lo ha qualificato come forza progressista, lottando per il reddito di cittadinanza. Non mi sembra, però, particolarmente impegnato su altri fronti, per esempio la riduzione dell’orario di lavoro o il tema fiscale. Non dimentichiamo che i lavoratori sono calpestati anche dal sistema fiscale».

Conte è un punto di riferimento dei progressisti?
«È un termine poco significativo. E poi chi lo decide? Si perde di vista che l’avversario sono le destre e che il principale nemico dei lavoratori è il mercato.
Ma ormai lo dice solo il Pontefice. Sono sbalordito che queste affermazioni così fondative le dica solo il Papa».

Solo la Chiesa critica il mercato?
«Certo. Come è rimasta la sola a pronunciarsi contro la guerra. Sui due grandi temi contemporanei la voce critica più autorevole è quella della Chiesa».

Perché?
«Perché il Cattolicesimo ha sempre mantenuto una tensione verso gli ultimi».

La sinistra no? 
«Negli ultimi 40 anni, no. Non è stato sempre così. La sinistra, per un certo periodo, ha tolto l’egemonia alla Chiesa nella difesa degli ultimi, con il movimento operaio. Fino agli anni ‘80, quando il movimento ha perso. Lì la sinistra si è persa».

Cosa pensa della scelta di riprodurre nella tessera del Pd gli occhi di Enrico Berlinguer?
«Scelta rispettabile. Del resto Enrico Berlinguer è stato applaudito anche in un evento di FdI. È un pezzo di storia indiscutibile. Bisognerebbe, però, ricordare che l’ultimo Berlinguer è quello che va ai cancelli della Fiat contro la marcia dei 40 mila e promuove il referendum contro la scala mobile. Se quel messaggio fosse stato perseguito, forse le scelte sarebbero state diverse».