L'intervista

Luca Ricolfi, lezione alla sinistra: "Per recuperare voti il Pd smetta di insultare la destra"

Pietro Senaldi

«Quando ero giovane il Primo Maggio era innanzitutto una festa sindacale, quasi sempre vissuta gioiosamente dalla gente. Ci andavano persone iper-politicizzate e persone normali, spesso con l’intera famiglia. Nella mia Torino era una sorta di scampagnata urbana, in cui chi ne aveva voglia ascoltava i comizi dei capi sindacali, e tutti quanti ci facevamo una passeggiata in centro. Poi è caduto il muro di Berlino, e dall’anno dopo (non so se c’è un nesso) il Primo Maggio è diventata la data del “concertone”, politica e sindacati hanno fatto un passo indietro a favore di cantanti e artisti, con massiccia copertura televisiva, specie di Rai 3, negli ultimi 25 anni».

Già, il concertone, da anni ha come filo portante i temi etici e i diritti civili: è un cambio di natura che paga politicamente?
«Non so se paga, certo accelera la metamorfosi del Pd in “partito radicale di massa”, come aveva profetizzato Augusto Del Noce».

Perché e quando la sinistra ha perso il contatto con i ceti produttivi?
«Su questo la vedo come Fausto Bertinotti: la prima origine del distacco è la sconfitta politica del 1980, con la marcia dei quarantamila. Poi ci sono stati gli errori, ovvero la lenta deriva che ha portato la sinistra a privilegiare i diritti civili sui diritti sociali, e quindi- logica conseguenza - a guardare ai ceti medi tecnico-impiegatizi, urbanizzati e istruiti, anziché ai due grandi segmenti popolari, poco istruiti e periferici, del lavoro autonomo e del lavoro dipendente esecutivo».

Dalla Società signorile di massa non si guarisce più, anche perché nel frattempo c’è stata La mutazione, le idee di sinistra sono migrate a destra. Nella Repubblica delle tasse (perché l’Italia non cresce più), si è spesso esercitata L’arte del non governo, da Prodi a Berlusconi e ritorno, con Il sacco del Nord (saggio sulla giustizia territoriale) e La sinistra e il complesso dei migliori (perché siamo antipatici): nei libri del sociologo e politologo torinese Luca Ricolfi c’è la storia recente dell’Italia. È al grande studioso del nostro Paese che Libero si rivolge per chiedere lumi su dove stiamo andando.
Alla vigilia del voto per le Europee e all’indomani dello «scrivete Giorgia sulla scheda elettorale» con cui il premier ha voluto azzerare le distanze con i cittadini, nel giorno della Festa dei Lavoratori, che quest’anno sembra fatto apposta per fotografare lo scollamento della sinistra dai ceti popolari, torna a farsi sentire la prima voce critica che si levò dal fronte progressista, quando il sol dell’avvenire non era ancora calato e pareva che il Pd e i suoi antenati avessero le chiavi in mano per guidare la nazione.

Professore, quanto pesano i lunghi anni di governo del centrosinistra sulla delusione del suo vecchio elettorato di riferimento?
«Tantissimo. La gente sa che dopo il 2011 la sinistra è quasi sempre stata al governo e intuisce che, se il Paese è allo sbando, la sinistra non può chiamarsene fuori».

Come può il Pd recuperare gli elettori persi?
«La vedo dura. Elly Schlein è perfetta per confermare la base attuale, ma poco adatta a riconquistare i ceti popolari, che le preferiscono di gran lunga i Cinque Stelle. A sinistra non vedo nessuno più carismatico di lei ma dubito sia la persona giusta per riportare al Pd il voto dei ceti bassi».

 

 

Che fare, dunque?
«Io ho un’idea forse ingenua, perché pre-politica, ma provo a buttarla lì. Fossi il segretario del Pd, prima ancora di enunciare un programma, mi darei da fare per ricostituire la precondizione per contendere alla destra l’elettorato popolare: il rispetto per chi vota a destra. Finché Schlein non lo fa, e preferisce continuare a trattare gli elettori di centro-destra come gente abbindolata che non si rende conto del pericolo fascista incombente, è psicologicamente arduo transitare da destra a sinistra. Se passi anni a darmi del cretino, perché dovrei voler venire da te?».

Conte tra i poveri tira più della Schlein, però la politica grillina dei bonus- regalini in cambio di aumenti di stipendio, carità al posto di rispetto dei diritti – ha fatto male all’Italia, specialmente ai poveri...
«Culturalmente, è stata diseducativa. Ma ha soprattutto sottratto risorse a impieghi più sani, come gli investimenti pubblici e il welfare di cui più c’è bisogno. Penso ad asili nido e sanità».

Sinistra e sindacati parlano di lotta al precariato ma 1) i dati ci dicono che aumentano i lavori a tempo indeterminato e gli occupati; 2) la precarizzazione del lavoro in Italia risale al governo Renzi e, prima ancora, ai governi di D’Alema e Amato. Dove sta la verità?
«La precarizzazione è il nome che la sinistra dà a un fenomeno in gran parte fisiologico, per non vedere quello patologico: il ristagno trentennale della produttività, vera causa dei bassi salari».

Di cosa hanno bisogno oggi i lavoratori?
«Contratti aziendali con salari più alti, ovunque la buona salute dell’impresa consenta gli aumenti. Smantellamento della infrastruttura para-schiavistica che coinvolge circa 3.5 milioni di lavoratori (i calcoli stanno nel mio libro La società signorile di massa) e di cui nessuno vuole occuparsi. Ci sono migliaia di situazioni di iper-sfruttamento note e visibili a occhio nudo, nelle campagne come nelle città e nei piccoli centri, ma né i governanti né i sindacati paiono interessati a occuparsene».

Il sindacato ha smarrito il proprio ruolo?
«I sindacati, ormai, si muovono in una logica al tempo stesso politica e burocratica. Politica, perché il loro atteggiamento dipende dal colore politico dei governi. Burocratica, perché una quota eccessiva delle loro energie è dedicata a tutelare i pensionati ed erogare servizi (ad esempio con i Caf), con insufficiente attenzione alla contrattazione, come risulta evidente dai tantissimi (più del 50%) contratti collettivi nazionali scaduti e non ancora rinnovati».

 

 

Elly Schlein accusa Giorgia Meloni di essere fuori dalla realtà: quanto lei è dentro alla realtà italiana?
«Le denunce della sinistra non sono sempre fuori della realtà, quello che è fuori della realtà è la diagnosi. Le faccio un esempio: ha ragionissima Schlein quando contesta le cifre di Giorgia Meloni sulla sanità, perché se metti qualche miliardo in più ma l’inflazione se ne mangia il doppio, il rapporto spesa sanitaria-pil diminuisce, ed è quel rapporto che conta, non la spesa nominale. Però, se vuoi essere completa, e dire tutta la verità, dovresti aggiungere: il motivo per cui Giorgia Meloni non può aumentare abbastanza la spesa sanitaria sono le spese pazze passate dei Cinque Stelle (reddito di cittadinanza e super-bonus) che hanno messo una pesantissima ipoteca sulla spesa sociale futura».

Perché il sindacato non condanna il superbonus, di fatto una patrimoniale al contrario - i ricchi che ristrutturano casa con i soldi di poveri e ceto medio - : è una definizione corretta?
«Sì, sostanzialmente corretta. Sul perché i sindacati non abbiano condannato a suo tempo il superbonus mi viene una sola spiegazione: non avevano idea di quanto sarebbe costato e non hanno capito nemmeno oggi che ogni euro di spesa pubblica messo su qualcosa è tolto da qualcos’altro. Per negoziare con il governo la politica economico-sociale occorre avere chiare le priorità, e soprattutto essere uniti: due condizioni da tempo assenti».

Il tema superbonus introduce quello dei tagli alla sanità, altro grande tema della campagna elettorale: chi ne ha la colpa?
«Il grosso dei tagli è stato fatto in passato, ed è dovuto alla necessità di frenare la crescita del debito pubblico. In assenza di crescita, l’unico modo per salvare la sanità sarebbe incidere sulla vera stortura del nostro welfare, ossia il peso eccessivo della spesa pensionistica, un male ben noto e messo a fuoco quasi 30 anni fa dal “rapporto Onofri”. Ma chi avrebbe mai il coraggio di farlo?».

Ci possiamo ancora permettere un modello di sanità pubblica che, almeno sulla carta, non ha eguali al mondo?
«No. Temo che - sempre nell’ipotesi che Pile produttività continuino a ristagnare l’unica cosa che potremmo fare è aumentare il ticket per i ceti medi e alti, con conseguente istantanea indignazione generale».

Il governo si giocherà la fiducia sul tema economico e fiscale, e quali sono i pericoli dietro l’angolo per Meloni e soci?
«Di pericoli ne vedo moltissimi. Per le riforme promesse non ci sono risorse sufficienti. Premierato e autonomia differenziata coaguleranno un fronte di paladini della Costituzione violata. I media ostili continueranno a stravolgere qualsiasi cosa venga detta da esponenti di centro-destra. Mosse incaute, come l’apertura dei consultori alle associazioni pro-vita, susciteranno vespai infiniti. L’eccesso di zelo in Rai e fuori continuerà a provocare macelli politici e mediatici. L’unico spiraglio per il centro-destra, è l’allarme antifascista, specie ora che ad agitarlo sono i martiri Scurati e Saviano: una polizza di assicurazione formidabile, che potrebbe – ancora una volta – esonerare il centro-destra dalla fatica di giocare in campo aperto, spiegando per bene i suoi progetti e rendendo conto dei propri fallimenti».