Il colloquio

Orazio Schillaci: "Tagli alla sanità? No, rimediamo ai loro errori"

Brunella Bolloli

Orazio Schillaci parla poco e polemizza ancora meno, forse perché è un ministro tecnico e maneggia una materia delicata come la sanità, su cui la politica spesso mostra tutta la sua incompetenza. Specializzato in  Medicina nucleare, è stato rettore dell’università di Roma Tor Vergata, e qui risponde all’opposizione che continua a usare la salute in campagna elettorale.

Ministro, faccia la diagnosi della nostra sanità. Sta così male?
«L’Italia ha un servizio sanitario con molte eccellenze e questo va detto con grande chiarezza. Un sistema universalistico dove chiunque si presenta in ospedale viene assistito e curato. Troppo spesso lo consideriamo un fatto quasi scontato senza pensare che se si va all’estero questo non accade. Abbiamo medici, infermieri, operatori socio sanitari, volontari che rappresentano il nostro fiore all’occhiello e che meritano, giustamente, di essere valorizzati. Ricordo che di recente una classifica internazionale sui 100 ospedali migliori al mondo vede 14 strutture italiane e molte sono pubbliche. Detto ciò è evidente che serve una profonda revisione ed è quello che stiamo facendo. Organizzare la sanità è molto complesso e non è onesto da parte di chi fa propaganda attribuirci gli errori del passato. È evidente che i troppi tagli non li ha fatti questo governo, così come è evidente che invece di strapagare i medici a gettone si dovevano aumentare gli stipendi di chi lavora per gli ospedali pubblici. Stiamo facendo di tutto per rimediare».

La segretaria del Pd, Elly Schlein, ha annunciato “visite a tappeto” negli ospedali. Da medico cosa risponde?
«Sono sicuro che la segretaria Schlein potrà spiegare, nel suo tour, perché negli anni in cui hanno guidato l’Italia hanno chiuso ospedali, tagliato posti letto e consentito che medici e infermieri abbandonassero il servizio pubblico per andare a lavorare nelle cooperative come gettonisti. Le suggerirei anche di non utilizzare la parola “eroi” riferendosi al personale sanitario perché riecheggiava proprio nel lungo periodo di guida a sinistra, quando si tagliavano le risorse e si esternalizzava senza metodo».

 

 

Parliamo dei tagli alla sanità. Secondo Sinistra Italiana il governo Meloni “mette a rischio la salute dei cittadini”. Siete davvero così scriteriati?
«Ovviamente no. La salute dei cittadini non è a rischio. Noi non facciamo sciacallaggio sulla pelle delle persone: siamo consapevoli delle criticità che negli anni si sono sedimentate e le stiamo affrontando un passo una alla volta. Penso all’assistenza sul territorio che è una delle fragilità del nostro sistema. I recenti dati Agenas sugli accessi in Pronto soccorso indicano una percentuale significativa di accessi impropri, ovvero per bisogni di salute che non sono urgenti e che potrebbero essere risolti in altri ambiti assistenziali, come dal medico di famiglia o dall’ambulatorio territoriale. Gli stessi dati indicano anche che dove sono attive le case di comunità, gli accessi impropri al pronto soccorso si sono ridotti. Per questo stiamo investendo sull’assistenza territoriale attraverso i fondi del Pnrr e ribadisco che tutte le case di comunità e gli ospedali di comunità saranno realizzati».

Ci conferma che sono stati tagliati 37 miliardi di fondi sanitari dal 2010 al 2020, quindi con i governi precedenti?
«Questi dati sono frutto di un rapporto della Fondazione Gimbe presentato nel 2019. Non mi sembra che ci siano state smentite. Posso dirle che dal 2014 al 2019 il finanziamento è cresciuto a ritmi inferiori rispetto alla dinamica dei bisogni e in cinque anni la sanità ha perso 11 miliardi. Questo governo, solo con la legge di bilancio 2024, ha impostato una crescita del finanziamento tra il 2024 e il 2026 di ben 11,2 miliardi».

È vero che se si volesse portare la spesa sanitaria a un valore pari al 7% del Pil, servirebbero oltre 10 miliardi in più, una cifra che oggi il governo sembra intenzionato a destinare ad altre voci di spesa, come il rinnovo del taglio del cuneo fiscale?
«La spesa sanitaria in Italia ha raggiunto il 7% del Pil soltanto nel 2020, in piena pandemia. Prima del Covid è sempre stata al di sotto del 7% eppure gli esiti di cura rispetto alla media europea sono stati migliori in tante prestazioni. Questo perché non sempre a una spesa più alta corrispondono cure migliori. I sistemi universalistici come il nostro consumano il 3-4% in meno di risorse per raggiungere pari livelli di salute. Dopo anni di assoluto disinteresse, ora ci si accorge che si deve investire in sanità. Noi lo stiamo facendo».

Lei aveva dichiarato che per la sanità “servono almeno 3 o 4 miliardi in più da destinare al personale e rendere più attrattivo il servizio sanitario nazionale”. Li avete trovati?
«Certo. Con la finanziaria del 2024 abbiamo aumentato di 3 miliardi il fondo sanitario. Nel 2023, con il governo Meloni, il Fondo è passato a 128,8 miliardi; nel 2024 a 134, ben 2 miliardi in più rispetto alla spesa programmata dalla Nadef 2023 che prevedeva 132 miliardi. Come ho già detto sul triennio 2024-2026 ci sono oltre 11 miliardi. È una colossale bugia dire che questo governo ha tagliato i fondi alla sanità. Non ricordo in passato aumenti del fondo sanitario di questa portata».

Altra “malattia” del nostro sistema sanitario, le liste d’attesa. Avete annunciato un piano per ridurre i tempi d’attesa. Ma questo piano è partito o no?
«Siamo alle battute finali del decreto che porteremo a stretto giro in Cdm. Quando sono diventato ministro mi sono dato due priorità: migliorare i servizi ai cittadini e valorizzare il personale sanitario. Le liste d’attesa sono uno dei problemi più sentiti dai cittadini ed è un problema annoso. A differenza del passato, questo governo ci sta mettendo la faccia. Le sembra normale che nessuno si sia mai preoccupato di verificare in modo puntuale quali siano veramente i tempi di attesa delle prestazioni?».

 



 

Perché nessuno ha verificato?
«Oggi un monitoraggio di questo tipo non esiste e da lì dobbiamo partire per mettere in campo azioni che richiedono il contributo fattivo delle Regioni. Perché altra cosa che spesso si dimentica è che lo Stato mette a disposizione soldi e fornisce indirizzi ma poi la messa a terra degli interventi spetta alle Regioni. Non è solo questione di risorse ma anche di modelli organizzativi che devono essere più efficienti. Il cittadino che chiama il Cup per prenotare una visita deve trovare tutta l’offerta di prestazioni disponibile, pubblica e privata convenzionata, e pagare solo il ticket se non è esente. Così come intendiamo definire Linee guida con l’Istituto superiore di sanità per l’appropriatezza prescrittiva perché anche l’eccesso di esami se non sono necessari allunga le liste».

Perché ancora oggi un malato deve emigrare per essere curato in tempo?
«La sanità è regionalizzata dal 2001 ed è inaccettabile che ancora oggi esistano disparità di accesso ai servizi, soprattutto in alcune regioni del Sud. C’è un problema di carenza di personale e abbiamo dato le prime risposte con i 2,4 miliardi per i rinnovi contrattuali, con l’aumento della paga per gli straordinari, con le misure che agevolano i contratti flessibili e migliorano la possibilità di far lavorare gli specializzandi. Abbiamo preso l’impegno di abolire il tetto di spesa alle Regioni per le assunzioni di personale, un vincolo che obiettivamente è diventato anacronistico. E che non potrà più essere un alibi».

L’Autonomia aumenterà le disparità nel ricorso alle cure?
«L’autonomia differenziata non mette in discussione il diritto alla salute sancito dall’articolo 32 della Costituzione ma rappresenta un potenziamento della facoltà delle Regioni di modulare la propria organizzazione dei servizi sanitari nel rispetto dei Livelli essenziali di assistenza».

I nostri medici sono preparati però troppo spesso vanno all’estero perché qui sono mal pagati. Come riporterete in Italia i cervelli in fuga?
«Medici e infermieri devono essere pagati di più, lo sappiamo, e stiamo valutando di aumentare l’indennità di specificità oltre a incentivi fiscali per favorire il rientro di chi è andato all’estero, sull’esempio dei ricercatori. Così come bisogna migliorare le condizioni di lavoro. La bacchetta magica la lascio agli auspici di chi ci critica, per il resto stiamo agendo su tutti i fronti e con tutte le risorse disponibili».

Dopo il Covid, che ha cambiato la sanità, cosa dobbiamo temere oggi?
«Il Covid ha rimesso la salute al centro dell’agenda politica, ha insegnato che se non si investe in salute si compromette anche la tenuta sociale ed economica della Nazione. Era un nemico sconosciuto che adesso conosciamo. Ora dobbiamo guardare ad altre urgenze. Penso all’antibiotico resistenza, una pandemia silente di cui ci stiamo occupando e che è anche al centro del G7 salute. Così come vogliamo aumentare gli investimenti in prevenzione, perché siamo una popolazione che continua a invecchiare e l’aumento dell’età porta con sé malattie croniche che si traducono in maggiori cure e assistenza. Investire in prevenzione significa invece avere meno malati in futuro e garantire maggiore sostenibilità economica al servizio sanitario».